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L’Eredità della Scienza

L’Eredità che Marco Baiotto consegna ai suoi lettori è divisa in sei parti, ciascuna delle quali ha le sembianze, per aspetto e per tema, di un poemetto a sé stante. Autore dalla scrittura elegante, dotta e impeccabile, doti molto rare oggigiorno, Baiotto è pure ideatore di una teoria filosofica accattivante, L’iperrelazionalismo sensibile.

Un accurato, ricco apparato di note, fra l’altro godibilissimo, correda il libro al termine di ciascun capitolo e dopo questa altra diversa lettura, in prosa, si comprende bene come anche tale particolarità dell'Opera sia frutto di una attenzione speciale che l’Autore usa nei confronti del lettore; un dono generoso, ulteriore dimostrazione di una sensibilità fuori dal comune.
L’altra non secondaria osservazione riguarda la veste grafica del volume: sobria, quasi austera, si distingue per il nitore, come è tipico delle pubblicazioni di Campanotto Editore.

Poi, man mano che ci si inoltra nella lettura dei testi, si incontrano numerosi, indimenticabili passaggi poetici di risonanza profonda e i significati si allargano sempre più, come in Uno fratto effe (titolo del primo capitolo), che è una formula coniata negli anni ’70 sulla frequenza del ‘rumore rosa’ (spiega in nota l’Autore); in L’Eredità della Scienza, circa il mondo delle creature tutte, fatte di carne e sangue, con queste parole viene sintetizzato il dominio dell’uomo sulle altre specie: “Così l’autorità dispotica del clochard sul cane”… e ancora: “la diabolica trovata gli animali non hanno anima”, ma, si osserva, fino a qualche secolo fa qualcuno non aveva la stessa convinzione anche circa la donna?

Ne “L’alieno” leggiamo lo straniamento di chi sente di non potersi integrare in una ‘normalità’ insopportabilmente cinica: “Nel mio concavo specchio sempre / confonderò il postino con Santa Claus”“sono e resterò estraneo al gioco / cibernetico al rogo / immolerò la mia scheda madre” o

invasiva fino all’usurpazione, come in Sonni futuri: “La coltura è umana / sul vetrino quale Dio-ttria mi manca / alla vista del microscopio o della micro-spia?”.

Un conio è esemplare della tragedia umana e non solo: dolorrore, dove “linee di codice parlano / di un dolorrore impronunciabile. // Dinanzi al simulacro formattato / tempio di un noi disciolto in acido amnesico”… Più avanti, in Algebra differenziale dicotomica, terza sezione del secondo poemetto eponimo del libro, si legge: “qual è la somma del peccato e del perdono, / del furto e del dono?”

E sempre dallo stesso poemetto, alla fine di Para-noia, para mi dichiara l’Autore: “Non so-stare al mondo / senza ragioni”. Dove i trattini grafici valgono da soli il senso di una intera frase logica.

Nel terzo poema, intitolato La cless-idra, la magnifica poesia Istante di senso compiuto sarebbe da trascrivere integralmente.

Nel quarto poemetto Abissi d’eros si osservi l’emblematico finale de l’Immaginario uomo-base: “Donne come murene / al sole dei Caraibi / mulatte muliebri / ginnaste scolpite. // Nelle fasi di stanca, / si cerca l’anima”. In questo ultimo distico sta tutta la denuncia del fallimento dello spirito sulla carne.

In Lontano nel vento appare molto interessante e curioso che l’amore venga definito “un lusso” che “non basta a se stesso”. Mentre in Sessuogonia (teoria sull’origine dell’universo umano sessocentrico, come viene specificato in nota) la sessualità viene vista come “Plateale equivoco / per rimediare al trauma / della nascita”. Si legga, icastica e suggestiva, Generi Inversi.

Il calligramma Nozze di piuma è, forse, fra i testi a più alta densità poetica, come pure Anatomico riccio, in cui viene descritta l’uccisione, ad opera di “Auto rapaci”, di un esemplare del mite animaletto che si è incautamente avventurato sull’asfalto: lo strazio del corpicino si trasforma, come per una sorta di “esplosione”, in un inedito, magico fiore-frutto spaziale; del riccio, a terra, solo gli inutili aghi restano tali.

Da questo testo, Anatomico riccio, che appartiene alla quinta sezione, intitolata Il capolinea della teologia, come pure da quello denominato L’abbraccio di Budda, incluso nella stessa sezione, finalmente si comprende che dal “diabolico schema che irretisce le creature”, dal complesso problema della triste sorte crudele degli animali non si esce, dato che anche insetti e vegetali paiono possedere sensibilità, perciò il poeta conclude: “Dunque l’abbraccio di Budda solo, / rendendomi immobile / spezzerà la catena / di questa giostra di morte. // Diverrò individualità dispersa / in un branco di plancton / abbandonato ad un orizzonte di fanoni”.

Sarebbero sufficienti tutti i soli sette titoli dell’ultima sezione, la sesta, intitolata L’iperrelazionalismo sensibile, eponimo della teoria filosofica ideata dal Nostro, a declinarne l’interesse, ne bastino tre: Confessioni di poeti sparsi, Due monaci amanti, e Variazioni di stato.

Pullula questo libro di personaggi storici, mitici e immaginari, vi compaiono scienziati, matematici, il popolo inca e i nativi americani, scrittori, registi, poeti, santi, psicanalisti, architetti, filosofi, personaggi televisivi e protagonisti di favole, cartoons e games informatici. Un sommesso coro d’ombre a controbilanciare assunti capitali e un ventaglio di ipotesi che fa cassa di risonanza nella coscienza a termini di significato simbolico.

Una scrittura di straordinaria delicatezza, protratta con originalità di stile, una lettura avvincente, a tratti commovente, utile e importante, per varietà e densità di contenuti; non sono presenti solo domande ma anche risposte argute, meditate e compiute, valide non tanto unicamente per i poeti, ma per ognuno che ami riflettere sulle questioni della vita. Egli troverà in questo libro complesso, vario, ricchissimo di suggerimenti e suggestioni, l’aspro e il dolce dell’arduo esistere dei Quasi Adatti, eloquente definizione degli umani, tratta dall’Autore, come egli attesta in nota, dal titolo omonimo del romanzo di Peter Høeg.

Recensione
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