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Prefazione a
Lord Glenn - l'anima di Byron nel cuore di un cane
di Claudia Manuela Turco (Brina Maurer)
la
Scheda del
libro

Lucia Gaddo Zanovello
Chi si lascia vivere con pigra superficialità, spesso non comprende quale sia
l’inestimabile ricchezza di poter godere di un rapporto quotidiano con gli
animali che, a conti fatti, sono venuti a questo mondo prima di noi.
L’uomo ritiene di sapere molto sul mondo, ma ancora non comprende quel che
pensano e che sentono gli animali, preferisce ritenerli senz’anima, di natura
inferiore alla propria, piuttosto di ammettere la propria insufficienza.
Mentre, di esempi struggenti, che è vero proprio il contrario, rigurgita
l’esperienza.
È più ‘conveniente’ ignorare i loro sentimenti, o giustificarne gli
atteggiamenti associabili a ‘una vita dello spirito’ come una sottospecie di
rimandi sensitivi automatici, anziché rivedere il proprio comportamento alla
luce di una necessaria e doverosa rivoluzione etica, che valuti la dignità degli
animali al pari di quella umana.
Il cane, se da una parte gode, da sempre, i privilegi della sua specie,
rispetto ad altre, probabilmente grazie alla sua ampia, oggettiva utilità in
molti àmbiti, piuttosto che in relazione al suo proprio riconosciuto sentire,
tuttavia, proprio in relazione alla sua proverbiale lealtà verso la specie umana
patisce, forse più degli altri, il tradimento dell’uomo.
Un cane, ma anche un gatto, come del resto tutti gli animali, non sono certo
oggetti, non si ‘possiedono’, per poi lasciarli, piuttosto ‘si armonizza’ con
loro, per carattere e per destino.
Non si può essere ‘padroni’ di un animale.
Conduttori responsabili, forse, e debitori d’affetto e di cura, questo sì,
dato che a cambio della nostra offerta di vitto e alloggio, un distillato
d’amore del più puro, ce li lega a vita, fino alla morte.
Il cane, comunque, più d’ogni altro, resta o va dove siamo noi e il suo amore
per noi, a dispetto di qualunque altra cosa, perfino del necessario, che diviene
per lui superfluo, è la sua stessa vita.
Non esistono cattivi cani o animali cattivi: la colpa di chi fa del male, nel
loro mondo, è solo di chi ha male insegnato.
Di più: i cani sanno istintivamente chi è amico o nemico, perciò sono
eticamente degli autentici maestri, incapaci di ingannare e di essere ingannati.
Come tutti gli animali in generale, e cioè gli esseri dotati di anima, come
riconosce la parola stessa che ci definisce tutti, in quanto esseri viventi e
senzienti, anche i cani sono un mezzo insostituibile per tenere in contatto la
nostra interiorità, spesso difficile da riconoscere, con il mondo esteriore, che
è arduo e dannato anche per loro.
Amici e complici, dunque, ma soprattutto compagni di vita.
Perfino Anime Gemelle, a volte, come è capitato, nella realtà, alla nostra
Brina con Lord Glenn.
Un inno all’amore più puro, che non si pone limiti, si ascolta nel Ciclo
di Glenn, una Trilogia davvero unica, che giunge qui, con questo secondo
volume, il nuovo Lord Glenn, ‘L’anima di Byron nel cuore di un cane’, al
suo secondo capitolo.
Qui il valore della semplicità emerge integro da ogni parola.
È chi non ha nulla ad avere di più, e resta insoddisfatto chi, avendo già
troppo, muore di insoddisfazione.
Si legge, fra queste righe, una critica amabile ma decisa all’ipocrisia
convenzionale della società, alla vanità dell’apparire giovane, sano e potente,
e il procedere di Brina in senso contrario al senso comune diventa, alle volte,
l’unico senso intelligente da percorrere contro il pregiudizio, fino
all’apparente, controproducente ‘follia’ di preferire l’adozione fra
l’insospettabile fertilità e ricchezza degli ‘scarti’ canini.
In questo racconto d’amore anche la libertà più bella, quella della parola,
ha un luogo ameno e privilegiato, la narrazione procede, talora, perfino con una
certa dose di necessaria irriverenza.
È molto divertente, poi, sentir parlare Glenn, egli lo fa come una creatura
umana sì, ma del tutto particolare.
Ci dice che non è tanto una pena il vivere, quanto è una pena vivere male o
nell’equivoco di sterili sofismi. E non vale proprio la pena di vivere senza dar
fastidio a nessuno, senza disturbare, dato che per migliorare moralmente la
società, che è la missione primaria di Brina Maurer, a dispetto di salute e
carriera, spesso alla sfortuna-fortuna bisogna contrapporre il coraggio di
osare, e alla legge della natura, alla ragione, la passione, la quale può,
all’occorrenza, allo scopo di ristabilire l’importanza primaria degli affetti,
magnificamente sconvolgere l’ordine comune.
Sono splendide anche le dediche in questo libro e l’Atto Unico iniziale è di
rilevanza fondamentale nell’arco della Trilogia, pregno di plurivalenti
significati e di autentica poesia.
Va lontano Brina, probabilmente precorre i tempi, e non sempre si è capiti in
casi simili, ma va bene così, perché ciò in cui si crede fermamente,
assolutamente ‘deve’ essere detto, e con lo spirito forte che anima i grandi
sentimenti, ma anche con la logica, sì, quella stessa logica che fa dire a
Marguerite Yourcenar: “Ci sarebbero meno bambini martiri se ci fossero meno
animali torturati… se non avessimo fatto l’abitudine ai furgoni dove gli animali
agonizzano senza cibo né acqua diretti al macello” e ad Emile Zola: “Il compito
più alto di un uomo è sottrarre gli animali alla crudeltà”.
Ho saputo che dopo aver condotto i suoi lettori al mare, con Byron-Lord
Glenn, Brina li condurrà in montagna, con Glenn di Raíbl, a
concludere il Ciclo di Glenn.
Non vedo l’ora di leggere questo terzo ed ultimo capitolo promesso, anche se
sono sicura che piangerò.
Questa Trilogia non è semplicemente un monumento a un cane, Brina sta
insegnando a chi legge tutto quel che c'è da sapere sull'amore, sulla (adorabile
suo conio linguistico!) 'cucciolezza' perduta dell'uomo adulto...
Forse è per la disarmante semplicità del suo stile, per la sua leggerezza,
che tutto solleva, per l’innato senso d'allegria di Brina, che anche resoconti
particolareggiati, quasi diaristici di alcune pagine, procedono senza
minimamente annoiare.
Tutte quelle informazioni pratiche che Brina fornisce, il lettore le vuole
proprio sapere. E non si stanca mai di leggerle.
Tutto va avanti come in un film d'Autore: il film di una vita semplice e
autentica.
Ma il risultato è epico.
Qui si racconta e si descrive, canta e sorride l'epica del quotidiano vivere.
Fa capire, Brina, a ciascuno che legge, che ogni momento vissuto ha qualcosa
di epico in sé.
Può essere che accada anche per ‘la colonna vertebrale’ della narrazione, la
poesia, che ovunque si respira, una sorta di 'spirito santo' che anima qualunque
attimo qualunque.
Glenn, dalla bella schiena liscia e nervosa e spirito libero per eccellenza,
ne viene fuori gigantesco, quanto a personalità, bellezza e sentimenti.
Godibilissimi risultano i termini geografici usati, a volte cambiati con
tratti nuovi e suggestivi, ma pur sempre riconoscibili, di paesi, città, luoghi,
delle vie, come accade per i nomi delle persone o degli animaletti...
In modo originalissimo, Brina ha dato vita a un mondo che non c'era e adesso
c'è, vivo per sempre.
Dopo questa lettura ci si sente provocati da molteplici e diverse
sollecitazioni, come per un risveglio.
A conti fatti, questo di certo non è un libro sui cani, è un grande libro
d'amore, ma sull’amore fa inedita luce. Ed educa all'attenzione, a quel tipo di
attenzione propria dei poeti, che vanno al nocciolo, all'importante, al
fondamentale e alla verità.
Ci viene presentato e ci si abitua ad un tipo di sacrificio oblativo di
solito poco osato, nel senso che, qui, l'offerta è senza limiti e talora quasi
proprio disperata, ma si rivela, inequivocabilmente, producente vera gioia e
vera vita.
Non c'è nulla di superfluo, neppure un grammo di quelle infinite tormentose
medicine, perché somministrate con infinito amore.
Ci fanno buona figura perfino veterinari e volontari... E il mondo canino e
quello umano sono un tutto naturale e armonioso.
Mattia, infine, ma non in fine, si rivela qui, ancor più che in Glenn
amatissimo, protagonista per nulla secondario, è figura fondamentale e
tenerissima. Un grande poeta pure lui.
Nel suo mantenersi ‘colonna’ indispensabile alla stabilità dell'opera intera,
rassomiglia al Cavaliere senza macchia e senza paura di romantica memoria.
E… ci si ritrova alla fine del Manoscritto di Ossolungi senza
accorgersene… Si pensava, chissà perché, di avere almeno ancora una ventina di
pagine da leggere.
Invece va bene così, si crea quell'atmosfera d'attesa spasmodica, il giusto
pathos del seguito.
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