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Presentazione a
Les mies mans
di Antoni Canu
la
Scheda del
libro

Lucia Gaddo Zanovello
Non vana nostalgia per l’antico, corale
lavoro nei campi di ieri, quello che si svolgeva a stretto contatto fra le
persone e delle nude mani con la terra e dunque cupa rassegnazione per i tempi
andati, ma tutta la forza di un’attualità necessariamente da riscoprire, in
questo inno di fiducia immensa nel potere della terra… cogli zolle/
stringile/ tra le mani/ e sentirai/ palpitare la vita/ Se tu cammini/ sulla mia
terra/ respira/ l'odore delle spighe/ abbracciale dolcemente/ e sentirai/che
sanno amare (La mia terra).
Immediata è la percezione di una solida pace interiore, di una nativa
semplicità, della gioiosa armonia di essere vivi.
Entrando in contatto con il mondo poetico di Antoni Canu da subito si viene
pervasi dall’immissione, nella nostra coscienza, di un lenitivo naturale, con
effetto calmante. Ci viene inoculato un vaccino benefico, un antiveleno che
difende dal degrado dei giorni d’oggi, da una grama e grigia sopravvivenza in
smarrita solitudine.
Si trae un rigenerante respiro profondo, come da un sentore persistente di
zagara, che solleva lo spirito dall’avvilimento confuso del quotidiano vivere.
Le mani poetiche sono tese con
la cordialità e la schiettezza di chi è nobile nell’anima, ed è blasone questo
che non può essere acquisito per diritto feudale di nascita, ma per individuale
e propria magnanimità di sangue. Una distinzione e una grandezza che vengono
dall’ordine e dal nitore di un vissuto lungo, glorificato dal sacrificio, nel
rispetto della fatica e del dolore degli avi.
È
la trasparenza degli intenti che giunge dritta al cuore di chi legge, non appena
si iniziano a mettere a fuoco i particolari della trama dei versi. Densi, ma
chiari, sgranati come perle di un rosario da tenere tra le mani come protezione
dalla follia dell’imperante
disvalore.
Sono le brevi, essenziali corde cristalline, pizzicate con delicatezza sapiente,
di uno strumento primordiale e perfetto.
Questa, che viene celebrata, è l’epica senza tempo dell’essenza vera e
naturale dell’uomo, che si ciba del frutto della spiga di grano come di ‘pane di
vita’ eucaristico, ecco L’essència (L’essenza): Dall'eterna
sorgente / ti vedo sgorgare/ gioioso frumento/ colorando di giallo/ la vita/
fedele / compagno di viaggio / navighi silenzioso / verso l'umanità / donando /
la tua essenza preziosa / e il fresco odore / della speranza...
(De
l'eterna font/ te veig brollar/ forment joiós/ pintant de groc/ la vida/ lleial/
company de viatge/ navegues silenciós/ cap l'humanitat/ donant/ la tua essència
preciosa/ i el fresc olor/ de l'esperança).
L’anima del poeta è una stanza luminosa e questa stanza ha le sue fondamenta
e il suo nutrimento nella terra: Senti / come sanno di terra / le mie parole
/ sono piante / che vivono / nei solchi del cuore / e dell'anima / le coltivo /
con le mie man i/ col sogno / di pavesare / il cielo di versi (Le mie
mani, II) e nel mare: …
parole luminose / sbrigliate / camminano al mio fianco / e s'addensano sulla
sabbia / a schiudere gli amarilli / versi / profumati dell'estate / dove erompe
/ la gioia dei bambini / nei secchielli colorati / e la salmastra / armonia del
mare / che m'avvolge / ricreando / la forza della parola / e il mio canto
alla vita (Sono entrato), che da par loro alimentano l’uomo, materni
e divini.
Ha radici
intrecciate con quelle della quercia e dell’olivo, ha la solidità della roccia,
intorno alla quale, fra le stoppie, vivono i
papaveri, l’elicriso e gli amarilli.
Vento, luce, pioggia e
frescura, si mischiano con i colori primari dell’isola: il bruno della terra, il
verde delle piante e l’azzurro del tutto che sta intorno armonizzano,
celestiali, con il bianco della luna.
Il rispetto sacro per gli
avi, per i Padri, la venerazione per i quali è espressa dalla lettera capitale,
si incardina con la benedizione di ogni giorno del santo pane quotidiano,
ottenuto con la costanza dell’offerta, con dedizione assoluta, di un lavoro
severo.
Saggezza e speranza vegliano
senza posa, dato che la terra è ‘donadora’, generosa, e regnano fino alla
fine dei tempi, senza tentennamenti né scalfitture, grazie alla pazienza.
Il dolore è vissuto non tanto
con rassegnazione, quanto con dignità, e non è esente, talora, da un profondo
sentimento di solidarietà contro il male, come si legge in Come farfalle:
Allegre come farfalle /
le
sillabe / si offrono alla penna / per aprire nuovi solchi / di linguaggio
/ e attingere linfa / dagli ulivi / per divenire parole poderose / e gridare la
verità / per le strade / fra falsità e mali / del nostro tempo o nobile
sdegno si coglie nella bellissima
La
fragilità del tempo:
I versi / avvolti di speranza / camminano / nella fragilità / del tempo / vanno
/ per le strade e le piazze / uniti agli indignati / lottano / con la forza /
della parola / per la dignità / e la grandezza dell'uomo.
La fede, poi, di cui è intrisa
la vita del Nostro ab origine, viene vissuta come un’‘impronta’ che la
rende riconoscibile soprattutto come ‘unico sostegno per il dolore’ (Il
sostegno).
“Les
mies mans”,
composta di ventotto testi come diamanti, è l’ultima raccolta poetica di Antoni
Canu, e viene per incidere il vetro dell’indifferenza di tanta parte dei vivi,
alla sinfonia
mirabile, talora proprio impercepita, della semplicità dell’essere al mondo, qui
e ora, a causa della dilagante ingratitudine di
tanto mondo giovanile, o per inconsapevolezza, dettata magari anche solo da
leggerezza, da noncuranza verso la dedizione totale alla fatica vissuta dai
Padri.
Certo, Antoni Canu non vive in
un posto qualunque, in una conurbazione alienante e stranita e, forse, lo stare
da sempre fra una terra, un mare (ma anche quello delle spighe è, per il Nostro,
un ‘mare vegetale’, in La giostra, e su questo mare il poeta
naviga, sostenuto e attraversato dalla parola) e un cielo come quelli di
Alghero, può essere opportunità e privilegio di pochi,
ma è mia convinzione personale che Antoni Canu sarebbe quel che è, e la sua
scrittura non muterebbe la sua sostanza, anche se egli fosse nato in una grande
città dell’entroterra o in un paesino sperduto chissà dove.
Perché l’amore per la poesia gli è congenito, è innestato da sempre nel suo
cuore, dal primo sguardo consapevole sul mondo, connaturato come l’entusiasmo
per la bellezza della natura e come la naturale meraviglia e commozione per il
potere magico della scrittura:
Le mie
mani / hanno diviso / la pula dal grano / e intinto la penna / nell'inchiostro /
della luce e della speranza /
creando
parole che si muovono / al ritmo del tempo vegetale / sulla pagina / di una
magica pianura / fertile di canti. (Le mie mani, I).
Si tratta di un sentimento che esplode nonostante tutto, per carattere
originario, per predisposizione dell’anima e lo si evince fin dalla lettura dei
primi versi di questo ultimo libro di Antoni Canu, come pur tuttavia avveniva
già dalle prime righe di Poesies, il suo primo volume di versi,
pubblicato nel 1995.
C’è da sottolineare ancora quanto lungo, sofferto, appassionato, mai finito e
licenziato del tutto, in cuor suo, sia il labor limae sui testi, che può
durare anche mesi di travagliata inquietudine, e pure a causa di una sola
parola.
Antoni è solito mandare a memoria i versi che lo assillano, quelli sui quali
conserva dei dubbi, per poterli ‘rianalizzare’ e passare al setaccio con comodo,
in ogni attimo che questo si renda possibile, perché come è vero che nulla mai
debba o possa essere lasciato all’improvvisazione, così avverrà per la cura di
ciò che si ama di più al mondo e cioè la scrittura.
Un’altra immediata
osservazione non può che riguardare il testo a fronte, che appare nella lingua
originaria catalano-algherese (non a caso il titolo e l’indice dei testi sono
espressi, in via esclusiva, in questo suggestivo idioma), che sempre accompagna
i testi in italiano, dato che proprio da quel verbo interiore si genera la
musica materna da cui discende l’ispirazione.
E leggerne questa versione
idiomatica, prima, nel mentre, e dopo quella italiana, produce sensazioni che
moltiplicano, invariabilmente, il piacere della condivisione del sentire
profondo e gioioso (pure nel dolore, per via di una fede limpida, eterna e
incrollabile) di Antonio.
Ci sta di fronte un intarsio prezioso di richiami linguistici che evocano,
con singolare musicalità, la storia di ognuno, anche fuori regione; al di là di
un particolare toponimo preso in esame, vi appaiono la storia dell’uomo, la
semplicità e l’autenticità del vivere, secondo i ritmi eterni e naturali della
terra (sanno
di terra / le mie parole,
è utile ricordare) e della luce del cielo (cito ancora da Le mie mani
II, il bellissimo frammento:
le
coltivo / con le mie mani / col sogno / di pavesare / il cielo di versi).
La beata semplicità, rimasta sepolta in ciascuno di noi, a causa dell’esistenza
artificiale a cui siamo chiamati a vivere per necessità e perché no, troppo
spesso, per comodità, eppure viva in noi, ci viene magicamente riportata alla
luce. Riappropriarcene, attraverso la purezza di questi versi, ci commuove:
ho
immerso / le mani ansiose / nell'arnia delle sillabe (L’arnia),
è immagine di una bellezza folgorante, così
diretta e impulsiva ed insieme così arcaica e patriarcale.
E non è che l’uomo, pure realisticamente compreso in tutta la sua
imperfezione, sia meno centrale della natura nel profondo rispetto del pensiero
del Nostro, ma è soprattutto riscattato per riguardo alla sacralità del suo
lavoro. E
anche la felicità esiste, giura ai vivi Antoni Canu, portandone prove
inconfutabili: una bellissima luna (che pareva quasi danzare, nota il
poeta, poco dopo) / scendeva la scalinata del cielo / io l'attendevo / con
l'elicriso tra le mani (Ho incontrato la gioia).
Una particolare osservazione merita l’attenzione del Nostro per il fascino ed
il potere magico delle sillabe, come nel testo (L’arnia) poc’anzi citato,
ma se prima il poeta affermava:
ho
immerso / le mani ansiose / nell'arnia delle sillabe,
più avanti in Come farfalle (testo pure citato più sopra) di
queste stesse unità minime di linguaggio egli dice: Allegre
come farfalle/ le sillabe / si offrono alla penna / per aprire nuovi solchi / di
linguaggio.
E anche ne Il sostegno, poesia già citata, tornano le sillabe nel loro
chiacchiericcio dapprima indistinto: Ritorna vivo / il desiderio della parola
/ sogno smisurato / di vento e luce / Brusio di sillabe / a dissodare l'anima
/ e poi ancora in Guarda: Guarda / le zolle / che cadono /
come sillabe / dalla penna / dell'aratro / che apre / il grembo / della terra /
come un salmo.
In
Tardor (Autunno) sono le creature vissute prima di lui e a lui
per sempre legate da vincoli di sangue a venirgli incontro, nel corso delle dure
prove dell'esistere: Sempre m'avvolge / il mare verde delle mie origini / il
mare della saggezza / che rivedo ogni autunno / quando puntuali / arrivano le
anime / degli avi / Arrivano con le quiete piogge / e arano / per giorni e notti
/ alleviando l'eterna pena / tra le onde fresche / della terra.
Tanto prezioso si rivela, per ogni appassionato di storia della lingua,
l’originale testo in versione catalana. Quante parole dotte, si incontrano,
molte delle quali di implicazione direttamente latina, o curiosamente familiari
ai nostri dialetti locali o a sonorità francesi o spagnole, si pensi a termini
come forment (grano), ploma (penna), tinta (inchiostro), llum (luce), zolle (gleves,
gleba), blau, blaves (azzurro, azzurre), camperol oppure pagés (contadino),
papallones (farfalle), oliveres (olivi), cridar (gridare), olor (odore), pluja,
pluges (pioggia, piogge), petites (piccole), minyons (bambini), donadora
(generosa), saviesa (saggezza), roselles (papaveri), vespre (sera), dia (alba),
estrelles (stelle), surera (quercia, da sughero?),
colobres (serpi), tanto per citarne alcune.
Non sono numerosi gli animali che si incontrano fra questi versi, e ciò ne
sottolinea ancora una volta il rigore e la compostezza, vi sono solo lepri e
serpi e, in particolare, due generi di insetti, entrambi carichi di significati
metaforici: le iridate, mutevoli farfalle e le solenni api, onuste di visioni
bibliche.
Fra i vegetali regnano sovrani le querce (da sughero? Come suggerirebbe il
termine ‘surera’) e gli ulivi, ma sfilano davanti agli occhi anche la pula, il
grano, le spighe di frumento (che costituiscono un vero e proprio ‘regno’, come
anche un ‘antico tempio del vivo pane’
antico tempio del vivo pane / dove canta la mia anima / di contadino
(in Stupore) che sanno proprio ‘amare’ (La mia terra) e pochi
fiori, su tutti, come già ricordato, il papavero,
l’elicriso (caro agli dei) e l’amarillo.
Gli attori protagonisti di questo poema sono gli avi, i contadini e la fatica
umana, gli strumenti che si utilizzano sono la penna, l’inchiostro, la falce,
che operano fra zolle di terra e di pagina bianca, palpitanti come cuori vivi.
Su tutte le entità immateriali
che governano la vicenda umana è la speranza protagonista fondamentale di questi
versi, profonda fiducia che si anima di saggezza e di preghiere agli avi e la
speranza è quella di trovare la sorgente della parola ‘dissodando il silenzio’ (Cantori
viandanti).
Les mies mans è essenzialmente un canto affascinante, modulato da un
esercizio ben ponderato della scrittura, evoca melodioso il suo dettato, ma
questo è esatto come un’operazione matematica e fermo nell’evidenziare la forza
dei valori che attesta e sostiene.
Di certo Antoni Canu ha intinto la sua penna ‘nell’inchostro della luce’, come
lui stesso dichiarava, quasi in un proemio, all’inizio del libro, e se è lo
stupore a permanere in quest’anima per sempre giovane, Estupor (Stupore):
Queste
parole che ora scrivo / sono chiare / come la prima luce del giorno / su piante
lucenti,
è dal grembo della Terra che lo ha cresciuto, ‘come una spiga’, che si
leva il canto del poeta, come il limpido controcanto
di Lei. In Di nuovo, infatti, si legge: …nel
suo grembo / depongo i miei versi / perchè maturino / al chiaro timbro del suo
canto.
Ed ecco la pagina del poeta fondersi con la pagina di terra sarda, come anche
in La quercia:
Guardo la
quercia / e la gioia / della sua ombra / che s'allunga / sulla pagina / della
terra / animata / da versi azzurri / che si torcono / come serpi / effondendo /
l'odore fresco/ della poesia
e in Seminando luce: Le parole / chiedono ascolto / mentre si
radunano / sul foglio di campo / per essere versi / con la benedizione / del
sole e della pioggia / Figli della terra / con la saggezza dei Padri / seguono/
lo spinoso andare del tempo / e vanno / seminando luce/ nel cuore dell'uomo.
Abbiamo appreso dal poeta come il silenzio possa essere dissodato, allo
stesso modo ora egli ci fa vedere come la tramatura in solchi della terra,
ottenuta con l’aratro, possa diventare un autentico rigo musicale (Sul
pentagramma) e veniamo informati di come quest’ultimo venga
compilato, nelle righe e negli spazi, dalle mani sapienti di Canu, per formare
ciascuno spartito poetico:
Sul
pentagramma / dei solchi / armonizzo le parole / per eseguire / il mio canto /
accompagnato / dal coro dei venti / che fanno vibrare / le cetre dei versi.
Infine, come avviene in epilogo ad ogni
viaggio dentro la vita, si torna al Punto di partenza:
Ho camminato a lungo / per le strade della vita / sono tornato / al punto di
partenza / una fertile pianura / Madre del frumento / oro palpitante / nelle mie
mani / di contadino.
E dopo avere imparato dalla
lettura di questo spartito, ciascuno di noi concordando con l’affermazione
del poeta, per avere sperimentato di persona che è vero, che l’essenza della
speranza risiede, da sempre e realmente, nel suo ‘fresco odore’, ecco che ci si
appresta a ricevere dalle sue stesse mani, verso noi generosamente protese (e
noi gliene siamo infinitamente grati), l’offerta preziosa della sua
verità:
Ti
porterò la luce / nel cavo / delle mie mani / ti porterò l'amore / nel guscio /
del mio cuore / ti porterò la speranza / tra le mie braccia / ti porterò la pace
/ nella barca / della mia anima / che scivola / su piccole onde azzurre / verso
/ la profonda visione / di cielo e di mare
(Ti porterò).
Lucia
Gaddo Zanovello, 31 gennaio 2013
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Traduzione in catalano di Pilar Calvet
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