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Questo apparente ossimoro (ombraluce), che in realtà richiama qualcosa di simile
ma diverso dalla "penombra" ("Twilight" in inglese, "Zwielicht" in tedesco,
espressioni molto simili in altre lingue, dove però nelle lingue germaniche
prevale il concetto di luce spuria, luce"altra" – cfr. la serie Tv "The Twilight
Zone", in realtà scritta da un "signor" scrittore del "fantastico" quale Rod
Serling, purtropppo prematurante scomparso, in alcuni casi dal grandissimo Ray
Bradbury, tuttora vivente) richiama i "misteriosi atti nostri" (Federigo Tozzi),
che, con una metrica e una prosodia classica, da classicista, cioè da studiosa e
amante del mondo classico (docente di italiano e latino, dottoressa in lettere
classiche), Giorgina Busca Gernetti ripropone sempre le esperienze, i
sentimenti, le sensazioni, i pensieri, in complesso la vita assolutamente intesa
(cioè come sciolta, per quanto possibile, da ogni vincolo), quello che,
schlereniamente, possiamo definire "il mondo della vita".
In altri termini,
insomma, è la realtà, interiore in primis, ma poi anche relazionale
(mondo interno-mondo esterno) ad orientare la poetica e poi concretamente la
poesia-il poieìn – dell'autrice, non la sapienza; insomma, a differenza che in
altri autori, nella Busca Gernetti, non c'è nulla di un calco neo-neo-classico
(ormai l'operazione rimanda/rimanderebbe agli specchi che rispecchiano altri
specchi, che a loro volta...), bensì una creazione spontanea che, naturaliter,
incanala il proprio significante nella direzione del metro e della musicalità
classica, dove intendiamo sia quella prettamente quantitativa della poesia
classica (greca e romana, nella nostra cultura"occidentale", dove generalmente,
con poche eccezioni, anche l'Antico Testamento, siamo costretti a leggerlo in
una traduzione in queste lingue, o nella Vulgata o in altra versione) sia quella
della poesia, divenuta classica, italiana e non. In altri termini, una poesia
che sorge/sgorga (se volete) originariamente, che ha ben presenti dei modelli,
ma si muove poi con grande autonomia rispetto a tale armamentario/bagaglio
culturale, invero necessario oggi, per chi crei poesia (la "spontaneità
assoluta", il "poeta illetterato"ecc. sono mere costruzioni fantasmatiche, lo
dico anche per aver esaminato testi che pretendevano invece di muoversi in
quest'ottica).
Sezioni diverse ("Aegritudines", "Luce in Calabria", "Il tempo,
la memoria, la poesia", "Macchie d'ombra", "Epicedio per mia madre", "Luci ed
ombre nella natura", "Amores") che, pur componendo un disegno corale-sinfonico,
sono da esaminare anche nella loro specificità, appunto corrispondendo a singole
sensazioni, a singoli "momenti", dove il momento è sempre il kairòs, il momento
evenemenziale, proprio anche (non vorremmo dire soprattutto), sembrerebbe un
rincorrere un "minimalismo d'accatto", tra l''altro assolutamente assente da
questa poesia-creazione poetica, che invece non si compiace della bellezza del
verso, ma lo vettorializza verso una creazione di senso precisa, che tuttavia
rimane aperta, polisemica, come la poesia vera deve essere. Alcuni
simboli-chiave, quali l'Angelo, la classicità, quasi in un'ideale fusione, che
non è confusione, non precludono altre piste di lettura, per certi versi anche
sicuramente più legittime di quelle qui brevemente proposte, meglio anzi
accennate.
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Recensione |
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