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La donna del ventesimo secolo. Dal charleston a Bella ciao II

Il mondo del Novecento al femminile

Parliamo ancora di donne, e non è mai abbastanza, considerato il semi-oblio in cui ha riposato o, meglio languito per secoli la figura femminile in ogni campo. A tirarla fuori da questo giaciglio dormiente e a parlarne ci pensa ancora una volta Anna Gertrude Pessina, che ne rivendica quasi l’unicità nella Ouverture del suo secondo volume de La donna del ventesimo secolo Dal charleston a Bella Ciao, edito da Manni Editori, prosieguo di un primo volume, che partendo dall’época del cancan giungeva al charleston appunto.

“Sono ancora e sempre io – dice la Pessina – quella che, tra gli imprevisti del quotidiano e le congiure altalenanti dei giorni sì e dei giorni no, non rinuncia all’avviato intrattenimento culturale sulla donna come fenomeno di trasgressione… sono creature che mi pulsano dentro e che… reclamano la reviviscenza del ricordo”; e, come una talentuosa regista, pur senza essere una Werthmüller o una Comencini, per sua stessa modesta ammissione, trascina i suoi personaggi “su un illusorio palcoscenico”, restituendo loro una vita inimitabile, di cui racconta o fa raccontare passioni, delusioni, tragedie; riaccende, insomma, su queste donne, in parte dimenticate, specie dalle giovani generazioni, riflettori a tutto campo: non solo sulla loro arte, le loro bizzarrie, già al centro di attenzioni trascorse e rapidamente obliate, ma su un’intimità ignorata, infilandosi tra le pieghe intriganti e provocanti di anime fragili, nascoste dietro caratteri forti, trasgressivi, stravaganti. In realtà, la Pessina non si limita, e lo attesta con quel forte e reiterato“Sono io”, a raccontare le vicende delle sue eroine, ma ne diviene la “burattinaia”: le rappresenta, le reinterpreta, quasi le reinventa, rivendicando a sé il ruolo di “arbitro delle loro storie”.

Una rivendicazione dal sapore e dalla sostanza altamente culturale, perché, al di là del pur inevitabile divertimento, che sempre accompagna o dovrebbe, l’ingrato compito dello studioso, il tutto nasce “ dal bisogno di comunicare cultura senza soste o battute d’arresto” E le operazioni culturali, si sa, godono della compagnia di pochi e selezionati lettori, anche se qualche scheggia impazzita può sempre approdare ben oltre quei venticinque lettori, di manzoniana memoria, e far proliferare inaspettatamente una colonia sconosciuta di non addetti ai lavori, magari giovani, pronti a recepire e a proiettare verso il futuro la sterzata verso la luce, che la cultura reclama.

Ma intanto, dinanzi ai nostri occhi stupiti e incuriositi, scorre la storia sociale, il costume di un’Italia al femminile, che rincorre la modernità, che recepisce le novità americane, che si inebria al “ ritmo frenetico della vita”, che si incanta al cinematografo; e noi lettori, e soprattutto lettrici, del Duemila, disincantati e lucidamente razionali, in una realtà che ha perso in buona parte gli aloni magici e magnifici di un mondo ormai andato, torniamo a sognare, dinanzi all’amore della Duse per D’Annunzio, ai lustrini della Baker, alle fredde ambiguità della Garbo e della Dietrich; un tempo andato, d’accordo, ma che ci è appartenuto, che è parte della nostra storia, del cammino impervio di un femminile che ha combattuto battaglie alternative e quelle maschili, dai volti truccati di sensualità, spesso sole e disperate, ma vestite di sete, lustrini e di un sogno da realizzare; le guardiamo, attraverso gli occhi immaginativi della Pessina, le sentiamo arrivare sul fantasioso palcoscenico delle interviste parapsicologiche, ne ascoltiamo i lunghi appassionati racconti e ci ritroviamo anche un po’ in loro, dive e donne, che l’autrice dipinge con i colori dell’autenticità.

Ma quello che distingue il testo della Pessina da un qualsiasi altro probabile libro, nel prolifico quanto banale panorama saggistico dei nostri giorni, immeritatamente supportato dall’interesse mediatico, non è solo la ricostruzione attenta, puntuale del personaggio femminile, scientificamente suffragata da un numero ampio di note, ricche di un profluvio di notizie, spesso del tutto inedite, alla conclusione di ogni capitolo; apparato che da solo esclude il vociare, da corridoio, ciarpame di cose scontate o del tutto inutili alla reviviscenza del personaggio, che fa da gossip, non narrazione artistica; ma è anche la contestualizzazione storica, come già sottolineato per il volume precedente, dagli anni sognanti e provocatori della belle époque, in un continuum con il testo gemello precedente, alla catastrofe della grande guerra e alla crisi lacerante ad essa seguita, che fu foriera di un ventennio nefastamente seduttivo e traboccante di stucchevole retorica, in cui il femminile avanzante annegò miseramente nel silenzio imposto.

Nulla sarebbe così ben comprensibile e plasticamente visibile se la Pessina non avesse indugiato anche sulla storia, focalizzandone, col dono della sintesi e di una sempre efficace scrittura, le componenti essenziali. Nulla si capirebbe della passività silenziosa, sedotta dalla becera furfanteria del regime, delle donne italiane rispetto alla nuova forza femminile, d’oltralpe e oltreoceano, come appare evidente dalla “stanza” anticonformista di Virginia Woolf, dalle sartorie alla page di Coco Chanel, dagli spettacoli conturbanti della Venere nera dalla “ Saffo nordica” Selma Lagerlöf, avanzanti sulla passerella creata ad arte per loro, desiderose di raccontare e raccontarsi, maieuticamente stimolate e provocate dal gioco narrativo della nostra autrice, nei panni teatrali di un’esperta e insidiosa intervistatrice.

Insomma, ancora una volta, Anna Gertrude Pessina ci regala una lettura tutta da godere, che sa tenerci incollasti alle pagine che profumano di un passato magico e tragico insieme, ma che al tempo stesso ci arricchisce di uno spartito così poco argomentato nella storia del Novecento, dal punto di vista femminile, con lo sguardo sospettoso e le movenze sinuose, provocanti e provocatorie di un femminile, che emerge, prepotente e tenace, a fare da controcanto alla storia maschile, a cui manca ben più di una costola.

Ma vorrei concludere con la consapevolezza che protagonista indiscussa di questa passerella, accanto alla figura femminile, è la narrazione, il piacere della scrittura, che guida, in ogni suo lavoro, creativo o critico che sia, Anna Gertrude Pessina, il suo bisogno, la sua urgenza di comunicazione, il suo gioco ironico e autoironico, il segreto della letteratura, di cui indubbiamente lei, autrice e regista, possiede le chiavi.

Recensione
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