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Damnatio memoriae per i peccatori

Il diavolo, Incisione medievale

“Coloro che non si pentiranno non potranno ricevere da Dio il perdono per i propri peccati e le loro anime semplicemente spariranno. Pertanto, l'inferno non esiste ma c'è solo la scomparsa delle anime peccatrici”.

Parole queste in parafrasi all’enunciato che il pontefice avrebbe pronunciato in risposta a una precisa domanda del noto giornalista Scalfari.

Ci sarebbe da aggiungere “delle quali si andrebbe a disperdere la memoria”.

Per gli antichi egizi, Aldilà era un mondo formato per ospitare quelle divinità che non avevano potuto, o voluto, assistere all’avvento della luce, il “Fiat Lux” biblico.

Un mondo che separava inesorabilmente gli dei del Cielo da quelli dell’Aldilà, la comparazione tra il Paradiso e l’Inferno questo con i suoi angeli precipitati.

Per Greci e Latini, l’oltretomba era l’Ade e dopo la sentenza emanata dai giudici Minosse, Radamanto ed Eaco, le anime erano istradate o nella “Prateria degli Asfodeli” (omologato nel Purgatorio) o nel Tartaro (Inferno)

Dante Alighieri, per aver ricalcato l’Ade nella sua Commedia e per essersi affidato allo spirito guida del classico Virgilio, ha creato un’opera che è entrata talmente nell’immaginario che si è trasfigurata in religiosa fede; infatti, molta gente, oltremodo nel popolo, è ancora convinta che il Paradiso, il Purgatorio, l’Inferno e il Limbo, siano “istituzioni” fedelmente descritte da Dante; cioè, non frutto del suo estro.

Paradiso, adottato nel XIII sec, è un termine che racchiude una remota tradizione religiosa ratificata poi nel cristianesimo, attinto all’avestico (lingua dei testi sacri dello zoroastrismo) PAIRI DAEZA e all’antico persiano PARI DEZA “giardino” o “luogo recintato”, da qui il greco PARADEISOS “giardino” questo composto da PERI “intorno” e TEIKHOS “muro” dall’antico DAEZA, e infine svoltosi nel latino PARADISUS.

Dal tema greco PYR “fuoco” si ha il latino PURUM e da questo il verbo Purificare e poi Purgare col sostantivo Purgatorio o Purgatoio, dal XIII sec, quale metafora del “fuoco che salva da ogni contaminazione”, attestatosi dalla dottrina cattolica nello “stato temporaneo d’espiazione” dopo la morte.

Dalla composizione latina INF IMUS, si ha lo sdrucciolo Infimo “l’ultimo di tutti” quale superlativo di INFERUS “inferiore” donde lo sdrucciolo Infero “che sta sotto” e Inferno, già in uso nel XIII sec e adottato nel cristianesimo dal 1321 con Ninferno, questo con protesi della lettera n.

Limbo, adottato dal 1300, sta per Lembo, dal latino LIMBUS e quindi “lembo ai margini dell’inferno”, l’aldilà per i non battezzati.

Dopo incalcolabili traumi psicologici alle puerpere, ai genitori, d’era cristiana, colpevoli di non aver fatto in tempo a battezzare i loro neonati destinati alla morte, la Chiesa, ha finalmente sancito l’inesistenza del Limbo, una concezione teologica del cristianesimo e Dante non aveva certamente lenito le pene nel declamare “Limbo dello ‘nferno”.

Il diritto romano in età repubblicana, come avevo recentemente scritto in altro articolo, già prevedeva che nome del reo fosse cancellato da tutte le iscrizioni.

Tale condanna ebbe una più decisa evoluzione durante l’impero, quando fu ribattezzata “Damnatio memoriae” (condanna della memoria); essa poteva colpire anche chi era già morto e comportava l’eliminazione del nome dalle opere pubbliche, la demolizione di eventuali monumenti eretti a sua rievocazione.

Oggi anche l’Inferno sarebbe un concepimento religioso tramontato così come era stato prospettato da due millenni e pare che sia invece una sorta di “Damnatio memoriae” per i peccatori.

Il caso di dire “Chi morrà vedrà”.

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