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Endre Erno Friedmann alias Robert Capa

Sicilia agosto 1943.
ll contadino e l’ufficiale americano
(ph R. Capa)

È il 1913 quando a Budapest nasce Endre Erno Friedmann e già incombono i prodromi di un imminente conflitto mondiale: la Serbia rinuncia amaramente allo sbocco sul mare, sconfitta dalla coalizione di Romania, Serbia e Turchia, e da lì a pochi mesi, nell’anno successivo, a Sarajevo è assassinato Francesco Ferdinando d’Austria, il Giappone dichiara guerra alla Germania (nel secondo conflitto invece si sarebbero abbracciati nel patto d’acciaio assieme all’Italia) e l’Egitto lo fa contro la Turchia.

Paiono i segni di quel destino che accompagnerà Friedman nella sua esistenza tutta dedita alla passione professionale di fotoreporter di guerra.

Appena diciottenne, studente, viene fermato per la sua movimentata attività politica e non esita a lasciare la città natale ungherese per la Germania, dove si scopre amante del giornalismo e pertanto frequenta a Berlino la Hochschule für politik.

Inizia a lavorare presso la nota agenzia fotografica Dephot, fondata da Simon Guttmann e Alfred Marx, la quale gli vale una sorta di lancio nel reportage giornalistico.

Tra i collaboratori divenuti famosi, si distingue immediatamente il nostro Friedmann, tant’è che viene inviato nel ‘32 a Copenaghen per fotografare il già tanto discusso Lev Trockij, l’ideologo dell’internazionalismo proletario, che nel ’40 darebbe stato assassinato in Messico, e così ottiene la pubblicazione del suo primo apprezzabile reportage.

L’anno successivo, a seguito dell’ascesa di Hitler, è costretto ancora ad allontanarsi e sceglie Parigi.

Nella “Ville Lumière” incontra la fotografa tedesca Gerda Pohorylle, anche lei profuga per sfuggire al nazismo, ed è subito amore ma non solo: entrambi ebrei antifascisti e incalzati dagli ideali di libertà e giustizia, accorrono in Spagna, teatro della guerra civile allo scopo di farne conoscere al mondo tutte le immagini posssibili.

Ed è Gerda a suggerire di scegliere per entrambi uno pseudonimo di facile memoria giornalistica e così il Nostro diventa Robert Capa e lei Gerda Taro e insieme reinventano con successo il fotoreportage.

Lei esprime nelle immagini romanticismo e poesia, lui gli “uomini contro”, la storia.

Un amore purtroppo stroncato dalla prematura scomparsa di Gerda per incidente, travolta dai cingoli di un carro amico, in quel feroce campo di battaglie fratricida; di lei abbiamo un toccante clic di Capa, assopita tra pietre ed erba, accovacciata col capo sul braccio piegato a mo’ di cuscino, su di un provvdenziale appoggio campale, forse un paracarro, una foto da brivido che sembra precorrerne la fine.

La sua morte ferisce profondamente Capa e non è solo un’ipotesi nel credere che da allora tutto quel suo entusiasmo professionale, sovente oltremodo spericolato, lo conduce in nome di lei; una forza interiore che fa di lui un eroico fotoreporter, capace di raccontare su ciò che altri colleghi tacciono.

È quell’istantanea scattata a Cordoba nel ’36 che lo ascrive viepiù nella notorietà mondiale, pubblicata in Francia da Vu e negli USA da Life: l’attimo in cui un combattente repubblicano si sta accasciando colpito a morte da un proiettile franchista.

Altra sua foto storica riprende i due poeti Emilio Prados e Garcia Lorca nel maggio del 36; dopo appena tre mesi, Lorca sarà fucilato dai nazionalisti a Viznar (Granada) in tutta segretezza, viste le proteste del mondo culturale; il suo corpo non è mai stato ritrovato.

Due volte in Spagna nel ’36 e nel ‘39 e nell’intervallo è a Hong Kong dove documenta l’invasione giapponese.

Robert Capa non è unicamente un fotografo di prestigio poiché il suo intelletto lo ritroviamo ancora in letteratura.

Nel ’38, è pubblicato il libro “Death in the Making” di Jay Allen con foto di Gerda e Robert Capa e in seguito collabora alla stesura di “The Battle of Waterloo road” della scrittrice Diana Forbes Robertson.

Il secondo conflitto mondiale lo vede nel Nordafrica e in Sicilia per documentare l’avanzata alleata.

Qui, nell’isola, in una sua istantanea, che è stato il logo della mostra rodigina svoltasi a Palazzo Roverella, appare un contadino che mostra a un ufficiale statunitense la direzione assunta dai tedeschi, intorno a Troina.

Nel ’44 è sulla spiaggia di Omaha in Normandia con l’avanguardia alleata e in Belgio segue l’offensiva delle Ardenne e nello stesso anno esce il libro “Invasion” in collaborazione con Charles Christian Wertenbaker, giornalista del Time.

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Nell’immediato dopoguerra s’insinua in articolate ma frenetiche escursioni internazionali: lo si ritrova a Hollywood che aveva raggiunto assieme a Ingrid Bergman, già acclamata diva di Casablanca e Per chi suona la campana, e chiede e ottiene la cittadinanza americana; assieme al suo amico fotografo Henri Cartier Bresson, considerato questi un pioniere del fotogiornalismo, e altri, fonda a New York, per sbrigliarsi dalle imposizioni della stampa dalla quale dipendevano professionalmente, la Magnum Photos, la celeberrima agenzia fotografica mondiale; indi, è in Russia nel ‘47 accompagnato da John Steinbeck, futuro premio Nobel per la letteratura, ed è l’anno in cui è edito “Slightly Out of Focus” e in quello successivo “Diario russo”.

Immediatamente dopo è in Israele nella prima guerra arabo-israeliana e documenta la proclamazione dell’indipendenza; da questa esperienza, due anni dopo, pubblica a Parigi, il “Report on Israel” con la collaborazione dello scrittore e sceneggiatore americano Irwing Shaw.

Nel 1954, reduce dal Giappone, è nel Vietnam del Nord per un servizio sulle truppe francesi e qui termina la sua vorticosa, pur breve ma straordinaria avventura terrena, ucciso a 41 anni da una mina antiuomo.

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Di Robert Capa, indicato quale migliore fotoreporter di guerra del Novecento, John Steinbeck ha detto “… sapeva che non si può ritrarre la guerra, perché è soprattutto un’emozione”, ma lui è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino, nei teatri di guerra e ritraendo lo smarrimento della gente comune.

Con le immagini, infatti, ancor oggi riesce a trasmettere all’osservatore, a omologarvi, l’identica emozione che lo assaliva al cospetto dell’evento da fotografare.

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