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Velia e il fascino antico dell’Italia.
Il cammino della fede per San Matteo da Velia al Gargano

Pare che furono proprio
alcuni cittadini greci di Poseidonia, la futura Paestum romana, a indicare ai
migranti greci il luogo ove poter fondare la loro nuova polis.
Si trattava di gente di Focea,
una comunità di stirpe greca, ubicata nella regione dell’Asia Minore, oggi
identificata con la Turchia; profughi scampati all’assedio dei Persiani e che
nel VI secolo aC si erano spinti verso ponente, alla ricerca di una quieta
convivenza per le famiglie.
Un dato è certo: il richiamo
delle terre poste a occidente, identificate oggi con l’Italia e il Mediterraneo
meridionale, hanno storicamente attratto quei popoli dell’est risoluti a rifarsi
una vita migliore; una sorta di utopia ancor oggi sorretta.
Nella lingua semitica, Asia dal fenicio Asu sta per “sorgere del sole” mentre
Europa, vista dal mondo asiatico, sta per “imbrunire” verosimilmente in
connessione con la radice latina di Opacus “opaco”, e, per i Greci, Erepos era
considerato vestibolo dell’Ade, l’oltretomba, ovvero l’inizio dell’oscurità,
dove cioè scompariva la luce del sole; tutto questo però riguardava di là delle
famigerate colonne d’Ercole, l’ignoto laddove Ulisse si affacciò per incontrare
i suoi compagni caduti a Troia.
Il continente europeo, invece, in dissenso con l’etimologia linguistica, aveva
una magnifica premessa in un mito: l’eponimo è Europa, una principessa amata da
Giove e condotta in queste terre che ne prendono, quindi, il nome, descritta
poeticamente “dagli occhi grandi (o belli)”, col prefisso lodante Eu e Opsis
“occhio-vista”.
° ° °
Le avanguardie dei Focei avevano già attraversato lo stretto di Scilla e
Cariddi e avevano puntato la prua verso la Corsica, allora denominata Calliste
in greco, dove scelsero di fondare Alalia su un primitivo emporio, la quale,
così, poté accogliere la successiva ondata delle loro genti.
Il contrasto per interessi mercantili - oltre al perché tra i Focei c’era chi
praticasse con disinvoltura la pirateria nel Mediterraneo - fu lo sprone per un
conflitto armato con Etruschi e Cartaginesi nel 540-35 aC, il cui epilogo si
ebbe nella memorabile battaglia di Alalia, donde i greci uscirono vincitori ma
talmente indeboliti per la perdita stimata di 40 navi su 60, da decidere di
abbandonare la polis ai vincitori; gli etruschi, pertanto, divennero
incontrastati mercanti del Mediterraneo nord occidentale.
La battaglia, la prima dei grandi combattimenti navali, segnò l’attrito
all’espansione magnogreca in Occidente.
I focei, ancora una volta profughi, si ritrovarono allora nell’attuale Cilento
ove fondarono Elea, oggi Velia, incoraggiati, pare, dai Poseidoniati, questi
accomunati nell’eguale destino migratorio.
La polis crebbe sviluppando attraverso il V secolo aC una cultura che avrebbe
fatto scuola al mondo: la filosofia eleatica, culla della filosofia
occidentale, che vedeva in Parmenide, governatore, uno dei massimi pensatori,
ideatore di quella lega italiota con Atene, di stampo politico ma essenzialmente
culturale.
Si deve alla sua opera quell’irripetibile gioco delle parti, foriero di sani
equilibri tra le polis magnogreche e le città-stato italiche, indigene.
Durante le guerre puniche, Elea parteggiò con Roma, fornendola di navi, la
quale nell’88 aC la promosse “Municipium” mutandone il toponimo in Velia,
concedendole di non rinnegare la loro lingua madre e di coniare moneta propria;
viepiù, permise alle sue sacerdotesse d’essere accreditate a Roma nel tempio di
Cerere, la Madre Terra, durante le celebrazioni del culto, officiandovi nel loro
rito.
Il fato di queste antiche civiltà sembra aver insistito con le rovine
idrogeologiche, con gli insabbiamenti; gli abitanti di Velia furono così ancora
indotti, questa volta da una matrigna natura, a emigrare, a ricoverarsi
sull’acropoli.
Che cosa rimane oggi di questa polis, i cui resti sono riapparsi alla luce sin
nel secolo scorso, e che meritano d’essere visitati assieme al museo-antiquarium
assettato nella Cappella Palatina del XII secolo: la necropoli, dromos e vie
con la Porta Marina Sud e Porta Rosa, i ruderi delle abitazioni private, tra le
quali sono ancora ravvisabili atrio e impluvio, un cosiddetto criptoportico, le
antiche terme romane con un incantevole pavimento del frigidario miracolosamente
abbastanza riconoscibile, le vestigia dell’agorà dove pare sorgesse il complesso
sacro dedicato ad Asklepieion-Asclepio il dio della medicina e delle guarigioni,
l’acropoli, la cavea del teatro, statuette bronzee, vasi e monete della zecca
locale quali dracme e una in argento con l’immagine del leone e la firma
dell’incisore Philistion, una iscrizione funeraria di Nervilius Iustus, la stele
in cui è inciso “Parmeneides Pyretos, Ouliades Physikos” (Parmenide figlio di
Pyretos sacerdote di Apollo e filosofo naturalista).
Tra la vegetazione insita nelle terre di Velia si evidenziano il mirto, alias
mortella, pianta sacra a Venere, e l’asfodelo; quest’ultimo, secondo la
mitologia, guarnisce nell’Aldilà il “Giardino (o Prato) degli asfodeli”, una
sorta di Purgatorio ante litteram in cui vaga l’eroe Achille cavalcando i suoi
destrieri Xanto e Balio.
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L’acropoli divenne sede di un episcopato e qui furono accolte le spoglie di
San Matteo, che giacquero per circa quattro secoli presso una sorgente termale,
e successivamente, riesumate dal monaco Attanasio poco prima del Mille, furono
in seguito traslate a Salerno in epoca longobarda.
Nella seconda metà del ‘500, la cattedrale di Salerno donò al monastero di S.
Giovanni in Lamis sul Gargano la reliquia del santo, consistente di un dente
molare, oggi custodita in una teca d’argento di fattura seicentesca.
Da allora, l’istituzione religiosa garganica, già posta quale sosta di preghiera
e ristoro, lungo l’antica Via Sacra Langobardorum, che conduceva e conduce i
pellegrini alla Spelonca dell’Arcangelo, è nota comunemente come “Convento di
San Matteo”.
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