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Il morso del serpente
Parabola tragica di un consolidato rapporto di coppia, quello tra Querina e
Alamo, questo romanzo sviscera in modo impietoso e crudele alcuni di quei
sentimenti che finiscono talvolta col travolgere con la propria forza dirompente
il più grande degli Amori: la noia, il susseguirsi monotono e abitudinario di
gesti che non lasciano spazio alcuno al futuro, e la mancanza di comunicazione,
che diventa il terreno fertile di fraintendimenti e di recriminazioni, spesso
immotivate.
In virtù di questo, il testo, che coglie gli attimi irreversibili di una
storia nella quale oramai ci si “barcamena alla meno peggio”, si presenta
come uno scambio di battute astiose e colleriche tra i due attanti i quali,
chiusi nel vortice della propria indifferenza, non riescono ad arginare una
collera che avrà, nel finale, un risvolto inaspettato. E a nulla servono i brevi
sussulti di vigore legati al ricordo di ciò che è stato e agli interrogativi che
uno dei due protagonisti si pone. Le parole di Querina – «E ora? Dove siamo
finiti ora? Alamo, come abbiamo fatto ad allontanarci in questo modo?…» –
riescono, forse, a scalfire l’impassibilità del proprio compagno?
Significativa appare la scelta dell’autrice di collocare tutta la storia nel
giorno di Pasqua… una Pasqua piovosa che sembra farsi beffa, con il suo carico
di felicità e di speranza che veicola, di una condizione che è invece senza via
d’ uscita.
Il tono usato per
restituire “gli spinosi meandri dei quotidiani disaccordi”, è molto forte,
sprezzante e ironico allo stesso tempo, adeguato al corpo agonizzante che
è al centro di tutta la narrazione. Così come appropriate sono alcune immagini
che restituiscono questa triste vita a due: quella di una nave che è incagliata
da tempo, il cui destino è l’ inevitabile deriva
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Recensione |
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