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Ha un sapore prettamente orientale il terzo romanzo di Giancarlo Micheli ambientato in Giappone dove si svolgono le vicende dei due protagonisti: l’autoctono Taisho, usciere di seconda classe che studia per conformarsi al modello occidentale, e l’ olandese, Baruch, che vivrà nella terra nipponica assorbendone usi e costumi: due personaggi indipendenti che vivono storie parallele sviscerando luci ed ombre delle rispettive culture di provenienza.

Orientale, però, non è soltanto la cornice spaziale – descritta attraverso il culto morboso al caro estinto, i telai artigianali, l’ Armata del Kwantung – ma soprattutto la scrittura che, ricca di aforismi e di rimandi all’antica saggezza di cui è depositaria la cultura giapponese testimonia perfettamente quest’ angolo di mondo, impregnando ogni pagina. Ecco allora sfilare davanti ai nostri occhi il komon di seta nera, i templi con la porta d’ingresso che impariamo a chiamare torii, gli wako, la casta degli shi, i geta, lo shamizen, il Kokin Waka Shu e molto altro ancora a testimoniare la grande padronanza che l’autore possiede della materia trattata.

Una scrittura esigente – che richiede il massimo impegno da parte del lettore per coglierne ogni sfumatura – ed erudita allo stesso tempo, come quando ci ritroviamo a familiarizzare con eventi accaduti secoli prima, con personaggi storici, con correnti filosofiche e con elementi della mitologia scintoista sui quali ci vengono in aiuto le abbondanti note che concludono ogni capitolo. È in questo che risiede il valore di questo testo, nella capacità di riportare alla luce molteplici aspetti della realtà, sia a livello stilistico che contenutistico.

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