| |
Appartiene alla letteratura di viaggio questo libro che
Emanuele Pagani ha deciso di ambientare in Svezia, anche se, contrariamente a
quanto avviene nei racconti che appartengono a questo genere letterario, quello
che qui viene narrato è un viaggio senza ritorno.
Sorpreso dalle potenzialità, dalla meritocrazia e dalle
possibilità di realizzare se stesso, l’io narrante, Manuel Johansson, non
dimenticherà mai il suo paese di origine, pur optando per una nuova nazione in
cui le necessità morali e materiali del singolo vengono rispettate.
Un’aura quasi fiabesca circonda il paese nordico, il
lago Malaren, dalle acque cristalline, il Mar Baltico, e la città di Stoccolma,
con i suoi ponti, i suoi vicoli, il verde dei suoi parchi che tinteggiano
«ancor più di bellezza ogni luogo circostante», i suoi canali ghiacciati.
Così come realizzati e coerenti si presentano i personaggi che la popolano e che
il protagonista incrocerà sul suo cammino.
Costruito sul contrasto tra l’Italia, di cui è
originario Manuel, disilluso a tal punto da rinnegare il proprio nome di
battesimo, e il paese nordico, il libro presenta una condanna spietata del
Bel Paese, di cui si criticano il servilismo e lo scarso senso civico.
Perché è nel paese che ha dato i natali al protagonista che egli ha compreso
«le ingiustizie … della maggior parte dei suoi connazionali», che ha
vissuto circondato dalle bugie di un’informazione manipolata, che ha conosciuto
una “dittatura mascherata” che condiziona «ininterrottamente il
popolo».
Lo stile è
scorrevole e colloquiale, ben ritagliato sui personaggi, giovanili frequentatori
di pub e jazz club, le descrizioni realistiche, restituite dallo sguardo vigile
e critico di un viaggiatore che, a differenza di molti italiani, non si è voluto
rassegnare alla mediocrità.
| |
|
Recensione |
|