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Paesaggi e figure
Se volessimo classificare l’opera di Franco Orlandini, la definizione più
appropriata sarebbe certamente quella di “Poesia della memoria”. Con
straordinaria acutezza, l’autore sembra intuire infatti che il vero regolatore
delle nostre vite è il tempo, che trasporta in un incessante movimento esseri e
cose, e che l’unico mezzo che l’uomo ha a disposizione per lottare contro la
caducità inevitabile dell’esistenza è quello di fissare i propri ricordi
attraverso la scrittura.
Tale recupero avviene catturando con un’impressione o una sensazione i momenti
essenziali e preziosi della propria vita, dell’ io che si risveglia
attraverso il ricordo di episodi della propria infanzia e della propria
giovinezza, di luoghi – come la casa natia – di personaggi familiari e di
visioni dolorose, come i bombardamenti e il passaggio delle prime truppe nel
1939.
Ed è grazie alla straordinaria capacità di rivivere il tempo trascorso che è
possibile veder sfilare sotto i nostri occhi vecchi vicoli, un tempo dominati da
case basse e brunastre, botteghe di artigiani, di cui non è rimasta oggi alcuna
traccia, case coloniche, belle mattine trascorse in riva al mare, vecchi
pescherecci rievocati con un tono che tradisce una malinconia che lo stesso
autore definisce simile a quei crepuscoli che chiudono “giornate lunghissime”.
Le immagini presenti nel testo, che sgorgano direttamente dal cuore ed esprimono
le ansie, i dolori, le aspirazioni e le gioie dell’autore, fanno sì che lo stile
possa essere qualificato come poetico lirico.
Ne scaturisce un linguaggio evocativo, adatto a
restituire il motivo del ricordo che domina sull’intera opera.
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Recensione |
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