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Prefazione a
Quarto piano
di Igino Creati (1995)
Edizioni Tracce, Pescara 1995, pp. 80.
Emerico Giachery
Coerente, ben scandita e in progress l'esperienza espressiva di Igino Creati:
cammino di conoscenza di sé e del mondo attraverso la parola e di crescente
consapevolezza formale.
Poco più che ventenne "tenta la via della poesia incominciando a parlare a se
stesso, cogliendo le occasioni della cronaca per condensarle nell'orizzontalità
del verso", salutato con fiducia e speranza da una delle più alte voci
poetiche d'Abruzzo, quella di Benito Sablone. Il quale nell'opera prima di
Creati, Gocce d'alba, apprezza il recupero di "immagini dimenticate" restituite
"a nuova vita", in modo da consentirci "di riassaporarle come egli le sente e
come noi le sentiamo la prima volta". Non mancano, nel libro, momenti di fresco
e musicale incanto: "Un raggio di luna apre il mare / il cielo dona tante stelle
/ in lontananza ai pescatori". Oppure: "I rami degli alberi / graffiano l'ombre
/ mormora in aria / uno strano fraseggio / il silenzio".
Trascorsi appena due anni, ecco Dissidio: "piccolo cornpatto diario d'amore,
dove la natura fa tutt'uno con la donna, il cui spirito e presente e vigile
nell'acqua e negli alberi, nelle pietre e nel vento perché il senso panico
permea tutte le espressioni del poeta il quale accetta l'esperienza d'ogni amore
come se fosse sempre l'ultimo". (È ancora l'autorevole Sablone ad avallare con
partecipe simpatia questo "secondo tempo").
Nella terza tappa dell'itinerario di questo "sincero e autentico poeta", Gaetano
Salveti constata che ormai "la composizione è
matura, serrata in La collina di luce, una sintassi asciutta e come imbrigliata,
sospesa tra i due poli del reale e dell'irreale, della veglia e del sonno, del
naturale e del simbolico". E "già si intravedono ipotesi di narrazioni e
descrizioni meno avare, di un modo di intendere l'esistenza in termini di
meditazione e di risoluzione dell'enigma".
Molti passi, anche
soltanto degustando qua e là al modo dell'ape, verrebbe voglia di citare – ma
ovviamente qui non è possibile farlo – dal denso e felice quarto libro di versi,
L'onesta solitudine, accompagnato da una amichevole lettera in cui Mario Luzi,
nella comune pietas per Ugo Fasolo da poco scomparso lasciando a Creati un
fecondo "spazio di luce", da poeta a poeta riscontra nel giovane collega una
condizione quasi esemplare: "la chiarezza del compito", che però non esclude "la duttilità", non occulta "le ambagi né i
veti e propri sgomenti del poetare, oggi
sul regime dell'insicurezza e dell'interrogazione più inquieta". Ma è
sicuramente nel libro Via Donatello, 23 (Edizioni Tracce, 1986) che meglio si
realizza il discorso lirico di Creati. Walter Mauro, del resto, che scrive
sull'opera un ampio saggio introduttivo, esaminando l'universo poetico di
Creati, dopo averne spiegato con rara intelligenza critica i nuclei tematici
principali e secondari, le peculiarità stilistiche, conclude: "Dietro questo
cursus, al fondale dell'io, esiste e persiste una agostiniana inquietudine che
porta fatalmente a misurare i problemi esistenziali con il metro della ragione,
offrendo così una variante del dolore umano quanto mai struggente e
sintomatica".
Eccoci, infine, al
1995, l'anno di grazia per Creati, che riceve il "Premio Vanvitelli" non solo
per l'intera, e certo ormai rilevante, attività di poeta, ma anche per l'impegno
davvero instancabile di operatore culturale a largo raggio (e di tale aperto
orizzonte reca l'impronta la sua stessa poesia). Ma soprattutto anno di grazia
perché in esso vede la luce questo suo sesto
libro, Quarto Piano che attesta l'ulteriore
cammino poetico con approdo alla più compiuta maturità.
È (sinora) il suo
miglior libro: un bel canzoniere d'amore, il più bello che mi sia capitato
sott'occhio in questi ultimi tempi. "Canzoniere" in senso quasi petrarchesco,
per omogeneità di scrittura, ciclicità variata come di "ricercare" musicale sul
gran tema dell'assenza. Accanto, tuttavia, si esprime non di rado anche
l'intensa grazia di una sintonica presenza.
Un'ideale
"topologia" distinguerebbe da un lato l'esigenza di un luogo, un radicato
spazio di vita, definito addirittura in un concreto recapito e in un numero
civico (Via Donatello 23), o nel "quarto piano" di uno stabile; e dall'altro
lato la sete di lontananza, di vasto mondo, sfumante in evocazione di remoti
Paesi. L'esserci" spaziale così nettamente "situato", è anche (non
soltanto, si
badi bene) forse leggibile come segno di una raggiunta centralità psichica (uno
junghiano direbbe il Sé) forte ancoraggio anche di vita poetica, mentre lo
schiudersi sull'orizzonte e dinamico tendere all'oltre: se vogliamo far nostra
una clausola sin troppo nota di Montale, tutte le immagini portano scritto "più
in là". Anche nella storia d'amore che alimenta il poetare sono sistole e
diastole il vicino e il lontano, il qui e l'oltre.
Se potessi
permettermi un'innocua stregoneria ermeneutica, volta non già ad accertare ma a
scuotere e mettere in moto, direi che il centrato fondarsi spaziale,
simbolicamente riferibile anche a un condensarsi di sostanza umana, può trovar
riscontro nell'acquisto, in Quarto piano, di compattezza nella scrittura, di
più
serrato concertare. All'arricchirsi e ampliarsi dell'orizzonte farei invece
corrispondere, sul piano della scrittura, un altro acquisto fortemente positivo
di questo libro: il ritmo più disteso, il verso lungo, la misura musicale di un
ossigenante "largo".
L'organico e costante livello di scrittura rende non facile la scelta, il
prelievo di un campione che ne rappresenti la qualità. Quasi ad apertura di
libro mi si offre un passo che mi pare confermi alcune notazioni appena
suggerite. Eccolo:
Come i colombi
rientrati all'improvviso nella stanza
non abbiamo – credo
– nessuna paura di volare
forse cerchiamo entrambi un riparo sicuro
e non il sonno oil gioco o l'abbandono
o un altro annullamento che ci sbandi
ma
l'attraversamento insieme della vita
magari un'altra nascita un'altra storia
l'intesa che sospinge a non morire.
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