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Pietre

"Pietre" è l'ottava raccolta di poesie di Giovanni Di Lena che non solo non si discosta dai temi impegnati delle precedenti ma, anzi, li potenzia. Perfettamente coerente coi temi della sua poetica e fedele a se stesso, l'autore continua il suo viaggio in una realtà, quella lucana, atavicamente contrassegnata da problemi sociali ed economici e, attualmente, sempre più, da problemi ambientali, per sanare i quali non può affatto essere sufficiente l'orgoglio per una certa visibilità che la nostra regione sta ricevendo grazie a "Matera 2019".

Basta guardare, egli ci suggerisce, ad alcune aree scempiate del nostro ineguagliabile territorio, alle risorse carpite, all'inquinamento, all'emigrazione di giovani che continua a lasciare ferite aperte nei nostri paesi, allo sfruttamento del lavoro, ai dati statistici che ci vedono quasi sempre ultimi nelle indagini relative allo sviluppo e al benessere, per capire che le aspirazioni, le speranze di una terra sono rimaste a lungo mortificate e disattese, come quelle di tutto il Sud, nonostante qualche piccola isola felice.

Quante disillusioni il poeta, a suo modo, ha vissuto negli anni dopo le giovanili speranze! I suoi versi hanno perciò denunciato, incessanti, parola dopo parola, i mali incurati, e speriamo non incurabili, di una terra ricca di risorse naturali e culturali ma povera di attenzione e di rispetto, hanno messo a nudo delusioni sempre più cocenti per promesse mancate, il desiderio di un mondo migliore che è diventato utopia col passare dei giorni, si sono fatti portavoce e preghiera, quasi, di intere generazioni di giovani, abbandonati al loro prevedibile destino da una Politica inefficiente, incapace e distratta." Pietre": a mali estremi, estremi rimedi.

Il poeta con la sua consueta sincerità, convinto delle sue idee si chiede perché tanti problemi passino sotto silenzio, perché nessuno sembri avvertire la gravità di situazioni che degenerano e portano povertà e dolore laddove ci potrebbe essere un reale e possibile sviluppo e vuole ancora una volta condividere l'amarezza che non lo abbandona, farsi portavoce di uno sgomento che esiste, latente, ma non in tutti affiora.

Per sè e per gli altri canta la rabbia dei disoccupati, l'orrore per le morti sul lavoro, l'impotenza a difendere e salvaguardare diritti ignorati o violati di singoli, di comunità, di luoghi contaminati, chiama in causa il "Potere", entità senza memoria, sempre estraneo e distante dalle vite di uomini e donne e dalle loro reali necessità.

Gli son rimaste ormai solo le "pietre": le parole si fanno più dure, più nette, più severe. E' il tentativo, forse, di rompere una barriera, di far sentire un grido, di lacerare il silenzio, un modo per non dichiarare la resa dinanzi al muro dell’"Ignavia", il desiderio di dire, nonostante tutto, un'ulteriore e disperata parola d'amore a un popolo e a una terra.

Recensione
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