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Alessia
Ho letto "Alessia", libro permeato d'amore, amplessi, fragole,
pesche e lune. Permeate di vent'anni.
Una preghiera questa di Piazza, mantra che si ripete con
settanta sfumature d'azzurro, spostando-variando parole chiave, terminante con una data: 1984. Un tocco di
campana che avverte, un gabbiano o un'allodola che gridano Attenzione! a far trasalire Alessia.
1984 è Orwell, il grande fratello, l'occhio ovunque che segue
Alessia a scuola, al bar, nei fienili, nella vasca da bagno (così sono le case di Orwell) per proiettarla poi sui
"cieli cobalto", su "disadorne vie serali", su "piogge amniotiche", con reiterati rintocchi quali epifania,
duale, infinitamente, liquidità...
Alessia è una statua. Osservata e ritratta da settanta
angolature diverse. Alessia si fa sfogliare per tutto il libro con i suoi cognomi che a volte sono Rosavestita, a volte
Azzurrovestita, con il suo ragazzo Giovanni Nerovestito; Alessia con i suoi Baudelaire, Pasolini, Moby Dick,
Mozart; Alessia allo zoo, nella migliore poesia, con il leopardo che in cattività si differenzia in
longevità da quello libero.
Rimarrà dentro a chi la legge, Alessia. A chi in primavera, con
gli Angeli Cielovestiti, l'avrà conosciuta.
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Recensione |
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