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Ignazio Buttitta, dalla piazza all’universo
“Aveva
una voce forte, ben modulata, bagherese nell’accento, che scandiva i versi e i
ritmi mentre saliva al cielo, e poi si estendeva assieme alle sue braccia
spalancate al mondo, e quindi precipitava nel cuore della gente, e poi
riprendeva a volare con le palme aperte delle sue mani, e aveva toni diversi,
duttilità, intensità emotiva, dolcezza e vigoria, mentre si riempiva di suoni e
di colori, disegnava nell’aria le immagini e i sentimenti delle poesie”.
Molto bello questo calzante ritratto in prosa fatto dal poeta Salvatore Di
Marco, riportato nel libro di Marco Scalabrino che ha titolo “Ignazio Buttitta,
dalla piazza all’universo”.
Ignazio
Buttitta nacque a Bagheria nel 1899 ed ivi morì nel 1997, attraversando così
quasi tutto il crinale degli anni che si sono succeduti nel corso del secolo XX.
Me lo ricordo in alcune sue recite durante i festival dell’Unità che si tennero
negli anni settanta in alcune delle numerose piazze siciliane. Fu quello un
periodo che amalgamò le tensioni di un partito (PCI) sostenuto dalle masse
operaie e intellettuali proteso alla conquista di diritti sociali (statuto dei
diritti dei lavoratori, assistenza sanitaria generalizzata, scolarizzazione di
massa) con l’animo poetante di un ex salumiere di Bagheria il quale condensava
in sé i molteplici volti isolani da lui stesso declamati spingendosi anche a
farsi portavoce delle vittime di feroci attentati quali quelli che raccontano
la strage di Portella della Ginestra, dell’omicidio del sindacalista Turiddu
Carnevale, del minatore mazzarese Turi Scordo morto nella strage della miniera
di Marcinelle, in Belgio. Girando in quel periodo in lungo e in largo per la
Sicilia e partecipando a molteplici iniziative culturali televisive Ignazio
Buttitta acquisì una straordinaria notorietà che in quegli anni lo rese celebre
quale poeta dialettale siculo.
Ma la sua avventura poetica partì diverso tempo
prima, negli anni venti, quando conoscendo una maestra che divenne in seguito
sua moglie, scrisse per lei il poemetto “Anciula”. Molti decenni dopo,
ricordando quelle sue prime esperienze, così scrisse: “A ddi tempi, / iu
facìa ‘u putiaru: tagghiava tumazzu, / fillata, / baccalaru / e zoccu mi
capitava. / Durmìa nno sularu da putìa: /cammara addubbata, / matarazzu ri crinu,
/ cannila addumata: / scrivìa di notti / na carta ‘i sapuni; io, u putiaru [‘u
fici] pi vint’anni / e scoli picca./ Avìa setti figghi, me matri, /mi mannava
all’Università? / A dd’epuca ‘i putìi si grapìanu / e quattru di matina: / a
notti scrivìa / – e si mi java bona – / durmia tri uri”.
Ignazio
Buttitta pubblicò opere di poesia dialettale dal 1923 al 1986. A fornirci una
grande mole di informazioni aneddotiche e letterarie sul poeta di Bagheria,
fondate sulla certosina ricerca e lettura critica di commenti apparsi nel corso
del Novecento su libri e riviste, è Marco Scalabrino che le ha condensate in un
organico volume di 240 pagine edito a Venezia da “Edizione dell’Autrice” di
Antonella Barina. Fra le numerose citazioni critiche riportate a supporto del
meticoloso studio, frequenti sono quelle del poeta Salvatore Di Marco, di
Palermo il quale molto ha scritto sia su riviste che su opere monografiche su
Ignazio Buttitta, ma non mancano quelle di Maria Nivea Zagarella, stimata
conoscenza siracusana che nel corso degli anni su molteplici riviste ha dedicato
una fitta serie di saggi su molti autori siciliani noti e meno noti, sempre
degni di lode per acume introspettivo e paziente ricerca filologica. Fra i primi
spiacevoli episodi accaduti al giovane Buttitta si apprende della esperienza
amara sofferta a causa del poeta Alessio Di Giovanni il quale, gli restituì
senza alcun commento, ben due anni dopo averlo ritirato dalle sue mani, il
manoscritto Marabedda”, che Buttitta gli aveva affidato con preghiera di
vergarne la prefazione e di curarne la traduzione in lingua italiana. Da allora
tra i due poeti non corsero mai simpatie letterarie e umane”.
“Sintimintali” e “Marabedda”, le prime due opere di Buttitta, pubblicate negli
anni ’20, in vero, sono opere sulla cui validità diverge la critica letteraria
moderna. Nel periodo del fascismo egli pubblicò alcune sparse poesie su riviste
letterarie che sporadicamente si stampavano in Sicilia. Dal 1954, anno in cui
pubblicò il libro “Lu pani si chiama pani”, secondo gli studiosi e critici della
poesia di Ignazio Buttitta, comincia la storia letteraria del poeta bagherese
intessuta di contenuti sociali ravvivati da popolari messaggi che egli seppe
vividamente “illustrare” alle genti radunate nelle piazze per ascoltarne la voce
e nutrirsi della sua fantasia che tappezzava di colorite immagini icastiche le
orecchie dell’uditorio. Ciò nel mentre nel corso degli anni scrisse La peddi
nova (1963), La paglia bruciata (1968), Io faccio il poeta
(1972), Il poeta in piazza (1974), Pietre nere (1983), titoli dei
successivi libri.
Questo
di Marco Scalabrino è un libro ricco di citazioni e pareri anche contrastanti
sulla figura del “discusso” poeta esemplare che attratto dal fascino della sua
sirena, la studiò metabolizzandola secondo la propria inclinazione ricavandone,
successivamente, una personale sintesi che espresse col linguaggio dialettale
corrente del suo tempo, attento al fatto che esso linguaggio fosse vivido e
comprensibile, avendo l’obiettivo di trasmettere e coltivare nel cuore del suo
uditorio la solidarietà per i tanti poveri cristi contemporanei crocifissi al
palo della miseria economica e della ingiustizie sociali, qualità che egli seppe
amalgamare in maniera naturale e spontanea e che certamente suscitò la gelosia
di molti poeti “laureati”. Luigi Lombardi Satriani – come riporta Scalabrino –
scrisse “In Buttitta vi è questa contemporanea presenza di tensione civile e
di tensione poetica, di capacità di denuncia dell’oppressione e delle
ingiustizie e di invenzione di metafore e di immagini di grande originalità e
suggestione.”
Questo
libro di Marco Scalabrino, raccogliendo organicamente i pareri di una
moltitudine di qualificati critici, alcuni dei quali a loro volta poeti, compone
un mosaico i cui tasselli distribuiti lungo l’arco del secolo XX oltre a
ravvivare la memoria del poeta illuminandone aspetti poco noti contribuisce a
far prendere al lettore la cognizione d’un personaggio che con la sua poesia
costituisce un sicuro emblema dell’Italia che uscendo dal periodo nero del
fascismo ha faticosamente risalito la china della democrazia la quale, ahinoi è
sempre disseminata di rigurgiti medievali.
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Recensione |
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