Mistretta? E’ divisa in “sopraceti” e
“sottoceti”. Da una parte club e circoli dove gli uomini devono sostenere un
esame del sangue che deve risultare “blu notte di stelle” e le donne devono
esibire gioielli superiori ai due chilogrammi. Dall’altra stanno gli operai, i
braccianti agricoli e gli artigiani con i vestiti intrisi di sudore.
Lo racconta Sebastiano Lo Iacono nel suo
nuovo libro dal titolo Materoma: i misteri viventi di Cimicibilla un lungo
racconto che si presenta come una sorta di giallo non poliziesco, architettato
in un villaggio senza tempo nel quale però si colgono i molteplici riferimenti
alla città nativa.
Un libro fantasioso e impetuoso come un
torrente in piena che trascina con sé le parole uscite dalle finestre e dagli
usci dei quartieri popolari. Vorticosi giri di parole che sollazzano il lettore.
Un “giallo” costruito sui “si dice” del villaggio dove i pettegolezzi, le
allusioni e le invenzioni albergano sia fra il “sottoceto” dal linguaggio
scurrile che frequenta le bettole e che fa proprio il motto “taverna: vita
eterna” sia fra il sopraceto.
Costruito con una sorta di impasto di
parole dialettali frammisto alla lingua ufficiale, il racconto ricorda le
precedenti esperienze letterarie di D’Arrigo, Consolo e Camilleri. Tuttavia,
Sebastiano Lo Iacono ha una affabulazione originale, che lo libera dal pericolo
di ripercorrere uno schema già consolidato. Tanto grazie ad una forma letteraria
personale, ridondante di assonanze, e a un’altrettanta originale ricerca della
“lingua madre”, il mater idioma del titolo.
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