| |
Paroli vattiati, ciaru di sonnira e limuna
Autore di diverse
opere teatrali, Michele Sarrica, nato a Castelbuono, ma residente da diversi
decenni a Capaci, si dedica con passione e diligenza alla poesia da oltre un
trentennio e periodicamente sforna delle piccole raccolte molto apprezzate
dalle qualificate giurie che popolano le molteplici piazze italiane che a
questa musa riservano annualmente un particolare spazio del prezioso tempo
corrente, facendone degli avvenimenti sociali particolarmente graditi agli
amanti delle patrie lettere.
Di recente Michele si è avvicinato anche alla
narrativa, facendosi notare dalla giuria del concorso dedicato a Maria
Messina che gli ha attribuito un significativo riconoscimento nella recente
edizione del 5 Ottobre. Con le edizioni Drepanum, Michele Sarrica ha
pubblicato una bella raccolta di poesie dialettali che ha titolato “Paroli
vattiati: ciauru di sonnira e limuna”; una sorta di panegirico della
antica lingua di Sicilia che niente ha a che fare con la retorica che spesso
insidia l’argomento, essendo, invece, quello di Michele, un sincero e
commosso ripasso delle esperienze maturate sul campo degli affetti familiari
(frequente il richiamo ancestrale della madre nelle molteplici valenze di
terra, lingua, e quant’altro può essere simboleggiato dalla creatura di
carne che ci ha generato) La nostra lingua nasci nta li campagni /
mmenzu li voschi e supra li muntagni / La siminò la storia e l’addivò lu
suli / Pi matri eppi la terra / La terra si la misi nta li vrazza / e la
vattiò cu l’acqua di lu mari / Criscìo dintra li grutti e dintra li
pagghiara / tra pecuri e viddani / pitittu e pani duru / (…).
Dirimpettaio della eco, che risalendo dalle caverne della
memoria giunge ai nostri giorni, è il poeta, una spugna che assorbe acqua e
fango dal ruscello del tempo e, metabolizzando gli eventi, pazientemente
distilla passato, presente e futuro col filtro della personale sensibilità
modella fragili ali al baco da seta sperando di vederlo tramutare in poetica
farfalla. E tuttavia in quel frangente, la poesia “t’arrobba lu tempu /
ti fracassa li jorna / ti scava li sensi / e pua scappa luntanu / e si torna
o nun torna / nun lu dici a l’amanti / (… ) / M’incatina a la seggia / m’arrisceri
lu cori / mi teni vigghianti / e mi lassa sunnari.”
| |
 |
Recensione |
|