| |
Liceali. L’insegnante va a scuola
La condizione giovanile e l'etica del tempo. La scuola e un libro per
capirci di più
Da un po’ di giorni sono
riaperte le scuole e perciò ci accade di buon mattino incontrare frotte di
giovani e giovincelli allegri e vocianti che ingombrano strade e marciapiedi,
coi loro abbigliamenti casual e piuttosto scollacciati, specialmente se ragazze;
le loro voci sfottenti e strafottenti, con stretti gl’inseparabili telefonini.
A guardarli vien di pensare quanto e se queste generazioni vadano consapevoli
delle condizioni del tempo e quale etica di questo tempo rappresentino. A sua
volta vien da pensare pure quanto i responsabili dell’andazzo di questo mondo
curino la condizione giovanile in atto, quanto in essa conti ancora la cura di
un’etica che vada oltre la prassi annuale della scuola che ricomincia e quanto
il problema dei comportamenti giovanili trovi occasione di interessi e di
attenzione.
Spesso scuola e studenti sono
stati oggetto di cronache scandalistiche, come di recente è accaduto per le
liceali dei Parioli a Roma, ma poco si è fatta attenzione a chi dei frequenti
scandali che si consumano nelle scuole ne ha dato ritratto come motivo di
riflessione. Penso al recente libro di Francesca Luzzio, una docente e
scrittrice che ha operato e opera a Palermo e dalle sue esperienze ha tratto un
significativo libro col titolo Liceali. L’insegnante va a scuola (Genesi
editrice. Torino, 2013).
E’ un libro che intanto pone in
primo piano una certa tipologia di studenti, quali sono nella realtà o quali
possano essere, che intanto fanno testo della condizione giovanile corrente, sia
in senso storico che in senso etico. In senso storico è vero, come si desume
dalle pagine di detto libro, che è in atto, ed è divenuta irrimediabile la
frattura tra le generazioni, al punto da non riconoscersi tra padri e figli,
fare questi mondo a sé nei modi e nel ritrovarsi, prendere dagli adulti e non
dare loro o ingannarli; non riuscire a parlarsi oltre i bisogni materiali
immediati. In senso etico detta frattura vede i giovani spesso preda di
fragilità psicologica, di assenza di motivazioni al loro agire, considerando per
lo più l’impegno scolastico una costrizione come tante e la scuola soprattutto
luogo d’incontri. In più pesa, e questo è il male più diffuso, l’indifferenza
affettiva verso la famiglia. Alla luce di questo quadro analitico, ecco che nel
libro della Luzzio si snodano, come su un palcoscenico virtuale, gli episodi
scabrosi del mondo studentesco, con i relativi personaggi protagonisti. Ci sono
i vari Alice e Giovanni che marinano la scuola e vanno a far sesso al giardino,
per poi creare il dramma della ragazza che, rimasta incinta, è rinnegata. C’è,
ad esempio, un Marco che per la droga inganna i suoi fino all’inopinabile
delitto; e c’è la tragedia dell’omosessuale incompreso. C’è il ragazzo
complessato ed emarginato per carenze familiari e fatto oggetto di violenza dal
branco; ci sono le ragazze che giocano a far le prostitute per noia e c’è la
ragazza belloccia che si perde, vittima della sua vanità. Ed ancora c’è
l’occasione di far sesso con la scusa dell’occupazione ed infine colpisce la
emblematica raffigurazione del tipo scostante e superbo, una certa Michela,
che poi si rivelerà l’infelice protagonista di una routine borghese senza scopo
e senza affetti. Sono questi non tutti ma una parte esemplare della diversa
serie di episodi che incalzano nelle pagine di questa autrice che, da
protagonista della scuola quale pure è stata, sembra osservare, scrutare,
immedesimarsi e insistere per ritrarre scene e figure, quasi con occhi
esterrefatti e con fraseggio asciutto, essenziale, come ad incidere con corrivo,
senza commento.
Ma forse il libro in questione
non susciterebbe tanto interesse se non consentisse anche un’altra più che
singolare considerazione. E’ chiaro che il panorama dei nostri studenti, qui
genericamente assunti come liceali, non consente di generalizzare: non tutti i
nostri ragazzi sono come quelli rappresentati dalla Luzzio; ma è vero però che
in essi c’è tanta verità che predomina e che caratterizza effettivamente la
realtà giovanile d’oggi. Eppure al confronto di essa cosa fa la scuola? Questa
la triste considerazione: la scuola continua a marciare sui soliti binari, con i
soliti riti, i soliti formalismi, le solite fatue riunioni di docenti, i soliti
programmi. Dunque la scuola perpetua una mentalità da adulti stanchi e
ripetitivi, con cui le nuove generazioni più non s’intendono. Questa è
soprattutto la lezione che la nostra autrice, opponendovisi, ha finito per
mettere particolarmente in luce; e lo ha fatto usando, caso inusuale ma
efficace, la poesia. Con la poesia essa ha dimostrato che i ragazzi si seguono,
si guardano a fondo, se ne scruta l’animo, si compensano i loro vuoti e i loro
tormenti. Dunque il libro ha una seconda parte in versi, dedicati specificamente
a dei ragazzi, come per lasciare loro un messaggio, con voce affettuosa e
accorata, che resti; e per dire a noi che la comunicazione con chi è difficile
comunicare ha uno strumento insostituibile, ed è la poesia. Proprio così.
Chi sa quanti troveranno strano
questo concetto, eppure non c’è altro verso di capire il nostro mondo: esso,
vittima di un’apoteosi del tecnologismo, che ha determinato i mali di questa
società in crisi, ha con leggerezza tolti i presupposti del comunicare umano che
stanno nel sentimento. Perciò a scuola, nelle famiglie, nella convivenza civile
c’è ancora tanto bisogno di poesia, che è soprattutto intesa umana. Senza
questa invece, difficile stare nella durezza della vita, e tutto può accadere,
sia tra i giovani che ad ogni età.
| |
|
Recensione |
|