Servizi
Contatti

Eventi


Veniero Scarselli e la poetica dell’esplorazione

La recente pubblicazione integrale di tutti i poemi di Veniero Scarselli (“Il lazzaretto di Dio”, Bastogi 2004) ci dà l’estro di fare il confronto fra due sue diverse rivisitazioni della figura di Ulisse. Le “rifles­sioni poetiche” di Veniero Scarselli sull’inquieta umana materia, sofferente negli angusti confini del proprio limite (dannazione ma anche risorsa, perché tensione al riscatto salvifico attraverso l’incessante esplorazione di sé, dell’universo, di Dio), suscitano sempre una stupita emozione.

La “Ballata del vecchio Capitano” (Ibiskos 2002) è un percorso di lettura che ci mostra un Ulisse giovinetto dal candido osare e ci porta nei meandri del relitto d’un bastimento arenato su una spiaggia dove lo attende, impotente dal tempo del suo naufragio, lo scheletro e l’anima d’un Vecchio Capitano. Il “Pianto di Ulisse” (Rhegium Juli 1998) ci mostra invece un Ulisse stanco per l’inutilità dell’errare e ormai disperato, alla fine dei suoi giorni e forse anche di quella del mondo. In ambedue gli Ulisse la poetica esplorazione di Scarselli si libera come inutile zavorra dai tanto diffusi reati dell’intimismo, solipsismo, lirismo e tutti gli altri ismi consanguinei e conseguenti, tesando le vele agli alisei d’una rotta esistenziale temeraria e indomita al timone della sua barca. L’Ulisse che disincaglia dalla prigionia e dal limbo di dolore del naufragio la Nave col Vecchio Capitano è un Ulisse metastorico, non metafisico, un uomo fatto di carne e sangue e di contraddizioni; è diverso dal desiderio di liberazione che spinge l’Ulisse del “Pianto” ad andare come un nomade antico col suo gregge in un luogo

in cui seppellire il mio cuore
ed amare soltanto a primavera
come uccelli sulle rive del mare
e poi via senza dolore
senza più voler ricordare
,

ma implorando però alla calda, amorosa nicchia d’una mano forse materna di non lasciarlo, come un bimbo che cede alla fascinazione imperiosa del bosco ma è reso titubante dal timore dell’incognito buio.

L’Ulisse della smania di conoscenza si ritrova invece nella “Ballata”, ed è quello che tiene ancora acceso il fioco lume negli occhi del teschio venerando del Capitano per vedere se gli fosse rimasta

incisa nella retina
la vera fotografia di ciò che vide
della vita oltre la morte
;

ma è anche il boomerang della speranza di sopravvivere, coazione che ritorna sempre con la stessa domanda per dare sollievo all’illusione. Il Vecchio lo supplica di recitargli le parole dei Sapienti, per liberargli l’anima dallo scheletro che ancora la trattiene, e poi di prendere il suo posto

al comando della nave incagliata
per rimetterne la prora ad Oriente,
attraversare l’Oceano tempestoso
incontro all’agognata salvezza
.

Dopo la consolatoria, pacificante visione concessagli su ciò che c’è “oltre la morte”, l’Ulisse della “Ballata”, liberato della sua “coazione” alla conoscenza, pensa solo a combattere contro la morsa degli scogli risvegliando la Nave dalla notte del letargo corporale, mentre questa con tremendi balzi di cavallo imbizzarrito s’impenna disperatamente cercando in mare la rotta per la salvezza: il riscatto da un cieco destino senz’anima di un candido cigno | guarito dell’antico dolore e pacificato nell’esaurimento del compito.

Troppo facile, scontato, apparentare la mirabile, poetica esplorazione di Veniero Scarselli a Novalis, in particolare il Novalis dei “Geistliche Lieder”, anche se comunque riduttivo e claudicante sarebbe l’apparentamento, poiché davvero la solida progettazione poetica di Scarselli sfugge ad ogni tentativo di confronto anche per l’ardimento del suo travagliato riflettere in lasse che scuotono e sciolgono il canto in epica pietas. Scarselli è in ogni lassa preso dalla foga della conoscenza, che non gli concede tregua guidandolo nella sua discesa verso l’Ignoto:

anche i budelli della nave
sembravano scendere infinitamente
nelle viscere della crosta terrestre
verso il centro della Terra , ed io con loro
a inseguirli con fede temeraria
giù per botole anguste e labirinti
senza luce e senz’aria
fino al
regno del Silenzio.

E’ il sacello dove giace lo scheletro del Capitano e dove finalmente le immagini | fedeli della Vita oltre la Morte si confondono in un’estasi indicibile elevandolo

al luogo d’una luce suprema
così piena d’Amore e di Grazia
ch’io subito potei riconoscerla
come quella dolcissima della Madre
.

E’ in questa lassa del poema, preludio del ritorno ad un porto terreno | fra le umili fatiche quotidiane, che l’Ulisse di carne e sangue e di contraddizioni, nel suo candido, fanciullino osare, travalica la soglia del Mistero trasformando l’iniquità della morte in uno stupore per la sua amorosa inimmaginabile dolcezza. Ciò che distingue l’uomo dagli altri animali per avere coscienza di quella morte che tutti ci dispera e annienta, in Veniero Scarselli diviene unica e irripetibile chiave d’accesso a questo suo mondo onirico ma ferocemente lirico come un dipinto di Jeronimus Bosch. Ognuno di noi va verso la propria verità: quella di Scarselli passa per l’arco d’una inusitata e abbagliante fisicità, carnalmente umorale e voluttuosamente spirituale. E’ onnivora fagìa quella che trae il suo canto di tzigano (e Titano) che canta solitario la sua inutile canzone sotto un cielo impassibile di stelle, é strenua ed estrema coalescenza con la Vita, fusione e contaminazione in una sensuale commistione di sangue e sudore, lacrime e paura, tensione e dolore: una grande celebrazione che comprende e trascende la Morte.

La forza e la grandezza di Veniero Scarselli é proprio in questa temeraria umiltà di costringersi all’annientamento rifiutando l’inerzia d’ogni comodo approdo. Il riscatto, ma non la risposta, é nel folle volo del pensiero che tesa le vele nell’incessante tentativo di appropriarsi dell’Inconoscibile, cui tende con tutte le bocche spalancate dei suoi sensi. Fu detto “prendete e mangiatene tutti, questo é il mio corpo e il mio sangue offerto in sacrificio per voi”; offertorio che è premio e sublime castigo alla umanità dell’uomo. Veniero Scarselli riceve e assimila quest’offertorio, sorbendolo nel calice di un’epica, magniloquente dissacrazione, per consacrarlo ad un patto nuovo: la tensione alla salvezza, dopo tanto travagliato inquisire, cede ad una pietas amorosa e solidale per tutto l’ignaro popolo degli uomini affranto dal silenzio d’acciaio della divinità.

Recensione
Literary © 1997-2024 - Issn 1971-9175 - Libraria Padovana Editrice - P.I. IT02493400283 - Privacy - Cookie - Gerenza