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La recente pubblicazione integrale di tutti i poemi di Veniero Scarselli (“Il lazzaretto di Dio”, Bastogi 2004) ci dà l’estro di fare il confronto fra due sue diverse rivisitazioni della figura di Ulisse. Le “riflessioni poetiche” di Veniero Scarselli sull’inquieta umana materia, sofferente negli angusti confini del proprio limite (dannazione ma anche risorsa, perché tensione al riscatto salvifico attraverso l’incessante esplorazione di sé, dell’universo, di Dio), suscitano sempre una stupita emozione.
ma implorando però alla calda, amorosa nicchia d’una mano forse materna di non lasciarlo, come un bimbo che cede alla fascinazione imperiosa del bosco ma è reso titubante dal timore dell’incognito buio. L’Ulisse della smania di conoscenza si ritrova invece nella “Ballata”, ed è quello che tiene ancora acceso il fioco lume negli occhi del teschio venerando del Capitano per vedere se gli fosse rimasta
ma è anche il boomerang della speranza di sopravvivere, coazione che ritorna sempre con la stessa domanda per dare sollievo all’illusione. Il Vecchio lo supplica di recitargli le parole dei Sapienti, per liberargli l’anima dallo scheletro che ancora la trattiene, e poi di prendere il suo posto
Dopo la consolatoria, pacificante visione concessagli su ciò che c’è “oltre la morte”, l’Ulisse della “Ballata”, liberato della sua “coazione” alla conoscenza, pensa solo a combattere contro la morsa degli scogli risvegliando la Nave dalla notte del letargo corporale, mentre questa con tremendi balzi di cavallo imbizzarrito s’impenna disperatamente cercando in mare la rotta per la salvezza: il riscatto da un cieco destino senz’anima di un candido cigno | guarito dell’antico dolore e pacificato nell’esaurimento del compito. Troppo facile, scontato, apparentare la mirabile, poetica esplorazione di Veniero Scarselli a Novalis, in particolare il Novalis dei “Geistliche Lieder”, anche se comunque riduttivo e claudicante sarebbe l’apparentamento, poiché davvero la solida progettazione poetica di Scarselli sfugge ad ogni tentativo di confronto anche per l’ardimento del suo travagliato riflettere in lasse che scuotono e sciolgono il canto in epica pietas. Scarselli è in ogni lassa preso dalla foga della conoscenza, che non gli concede tregua guidandolo nella sua discesa verso l’Ignoto:
E’ il sacello dove giace lo scheletro del Capitano e dove finalmente le immagini | fedeli della Vita oltre la Morte si confondono in un’estasi indicibile elevandolo
E’ in questa lassa del poema, preludio del ritorno ad un porto terreno | fra le umili fatiche quotidiane, che l’Ulisse di carne e sangue e di contraddizioni, nel suo candido, fanciullino osare, travalica la soglia del Mistero trasformando l’iniquità della morte in uno stupore per la sua amorosa inimmaginabile dolcezza. Ciò che distingue l’uomo dagli altri animali per avere coscienza di quella morte che tutti ci dispera e annienta, in Veniero Scarselli diviene unica e irripetibile chiave d’accesso a questo suo mondo onirico ma ferocemente lirico come un dipinto di Jeronimus Bosch. Ognuno di noi va verso la propria verità: quella di Scarselli passa per l’arco d’una inusitata e abbagliante fisicità, carnalmente umorale e voluttuosamente spirituale. E’ onnivora fagìa quella che trae il suo canto di tzigano (e Titano) che canta solitario la sua inutile canzone sotto un cielo impassibile di stelle, é strenua ed estrema coalescenza con la Vita, fusione e contaminazione in una sensuale commistione di sangue e sudore, lacrime e paura, tensione e dolore: una grande celebrazione che comprende e trascende la Morte. La forza e la grandezza di Veniero Scarselli é proprio in questa temeraria umiltà di costringersi all’annientamento rifiutando l’inerzia d’ogni comodo approdo. Il riscatto, ma non la risposta, é nel folle volo del pensiero che tesa le vele nell’incessante tentativo di appropriarsi dell’Inconoscibile, cui tende con tutte le bocche spalancate dei suoi sensi. Fu detto “prendete e mangiatene tutti, questo é il mio corpo e il mio sangue offerto in sacrificio per voi”; offertorio che è premio e sublime castigo alla umanità dell’uomo. Veniero Scarselli riceve e assimila quest’offertorio, sorbendolo nel calice di un’epica, magniloquente dissacrazione, per consacrarlo ad un patto nuovo: la tensione alla salvezza, dopo tanto travagliato inquisire, cede ad una pietas amorosa e solidale per tutto l’ignaro popolo degli uomini affranto dal silenzio d’acciaio della divinità. |
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