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“Eretiche grida” di inesorabile candore si levano, in quest’ultimo poema di Scarselli, dalla decantazione del progressivo/compulsivo travaglio della genetica attrazione esercitata dal Male sull’ uomo (il cosciente e sapiente animale con la più alta aggressività intra-specie, come scrisse K.Lorenz); accarnate grida, concepite e partorite dunque ‘cum sanguine et cruore’ da quella inappagata/inappagabile (ergo guerriera) volontà/voluttà di conoscenza (per cui “dal Grande Orologiaio” fatti non fummo già ‘per viver come bruti’), che in questa postrema “genesis” di fabulante pace, sono riscattate e convertite in multanimi, interferenti confluenze di mutua armonia da Acmed, il protagonista, la cui invenzione patronimica traduce e ri-conduce – nella ri-creazione dell’ars poetica – al biblico Ha’dam, l’archetipale ‘uomo per eccellenza’: superbo “porcellino senz’ali” che, “con grande dolore e vergogna”, fu estromesso dall’Eden per il suo congenito vizio di superbia. Scampato, forse non per caso, all’astrale scontro planetario in cui “la dannazione del mondo ebbe inizio” a seguito del ‘pensionamento’ dell’operoso/generoso Iddio (che “dopo aver lavorato | sei giorni interi per creare il mondo, | vide d’aver fatto cosa buona | e se ne andò a riposare contento”) egli si mette “da solo in cammino” alla fiduciosa ricerca di un residuo di quella innocente umanità “sfuggito allo sterminio”, con la pia intenzione di “dare nutrimento | ad una stirpe” di individui “buoni e giusti”, “ancora timorati di Dio”, per ripristinare e condividere insieme l’armonia geoepica – come da sostantiva aggettivazione mutuata dal verticale introibo di S. Gros-Pietro – del “vecchio mondo dell’Eden” ‘a nova vita restituito’ nella “dolce casa di carne” di quel pìcciolo Mondo Sopravvissuto: un Mondo che gli si rivelerà però ben presto invariabilmente/inguaribilmente affetto dalla stessa egotica, ferina e caina dis-armonia, gradualmente assunta, riprodotta, applicata e amplificata con la voluttuosa volontà d’una sempre più raffinata/efferata perizia, da medicare, guarire e liberare attraverso un duro e oscuro travaglio coscienziale nella regressiva ‘zinzum’ dalle infette/infettive aderenze con la sua carnale “vescica” invasa “di Male”. Solo dopo quella iatromantica gestazione coscienziale, “vigilando con sapienza ed equità” per condurre “una vita laboriosa | obbediente a tutti i Comandamenti” nel suo elettivo romitaggio fra la “solitudine e il silenzio dei boschi”, aspettando/preparando la “Sospirata Primavera” insieme a l’ “allegra comitiva” della Natura in cui “tutti gli esseri si vogliono bene” (“Sorella Neve”, i “fratelli Cerbiatti”, le brave “Pecorelle”, le “piccole Serpi”, “Frate Lupo” e “Frate Agnello”, i “Freddolosi pipistrelli” e i “Ghiri bonaccioni”, i “Conigli, Cervi, Caprioli, Cinghialotti”, i “Cani, Uomini, Pecore, Galline” e gli uccelli – i “fedeli compagni”, con “tutte le erbe del Creato” come lui sopravvissuti all’ “inverno più nero”) Acmed riuscirà ad incidere, risanare e aprire quella infetta e maligna “vescica” all’amorosa, fruttuosa certezza del primèvo “bene di vivere”, ritornando “a testa china dal Padre | per condurre quella semplice vita | di semplice uomo” – “che da tempo | aveva ripudiato” – con “la fede e la letizia” di “prodigo figlio” con “anima pura” con-passional-mente dedito all’esercizio quotidiano d’una laetifica, munifica e salvifica ‘dotta ignoranza’. Ben presto infatti, dopo l’ impulso all’eversiva fuga in quella sostantiva ed ‘implessiva’, forse pre-destinata ‘simplicitas’, risorta nell’inclinazione/aspirazione di ri-crearsi nell’antropologico connubio primigenio con la materna Gea, egli l’aveva poi accantonata e ripudiata, dandosi con crescente, delirante frenesia a replicare tutti i nefasti fasti della “Fata Morgana | scaturita dal vizio della Ragione”, sempre più raffinatamente pervasi/perversi di cruenta perizia/letizia, in una ancora più crudele/letale avidità di possesso da autoprocurata/protratta astinenza. E’ in questa possibile pre-destinazione che Scarselli sembra ravvisare/ravvedere lo scarto necessitante a riconoscere la Verita(n)s Mortis – “nient’altro che humus nutritivo | per le nuove creature, e poi polvere | dispersa dal vento fra le zolle | secondo il volere di Dio” – implicita nella salvifica Pars Construens d’una connaturalità ‘post omnia eppur primordia’, ergo pre-cedente-mente indenne/immune da quella invasiva e pervasiva attitudine/consuetudine, ‘hic et nunc et suaviter’ indotta e diffusa a livello planetario a danno dei più deboli da un vorace/edace, persuasivo buonismo, buono soltanto per gli orgiastici bilanci economici/egemonici di prepotenti/onnipotenti, oligarchici imperialismi: un buonismo che provvede “con aristocratica eleganza” e multimediatica perizia/nequizia a sterminare le “pletore di straccioni” che inquinano il lusso di un mondo sempre più “igienico per pochi ricchi”, dove il trimurtico ‘poteresaperevolere’della camaleontica hydra/hybris religiosa/scientifica/economica è costruito ed esercitato, mantenuto e replicato nei variegati avvicendamenti/adeguamenti storici/ideologici/politici in invariabile/adattabile concorso di adeguati/correi/correlati interessi ‘todo modo’ assicurati, se pur sempre da ciascuna ‘parte’ a ‘suo modo’ professati/predicati e propagati/armati.

A quel pregresso stato di “mitico Eden” fondativo e fecondo “d’ogni vero, d’ogni bene, d’ogni grazia”, dove la Vita è libera di crescere “fiera come un dio” per salire innocente e “onnipotente fino al cielo” “carnalmente fedele | alla Natura, che ci tiene in grembo | come una madre il frutto del suo sangue”, dove uomini, animali, vegetali e cose sono tutti cor-relati “in amorosa famiglia” (ed in cui ‘Nature’ ritorna ad essere ‘via Nurture’, secondo il famoso postulato del biologo evoluzionista M-Ridley) l’ani-malità dell’uomo agisce e interferisce, si muove e pro-muove, con-muove e converge con quella della biosfera, che iniziò a pensare quando egli vi comparve – come ha scritto il bio-mirmecologo E.Wilson – fino a diventarne il più edotto/evoluto prodotto, libera-mente capace di scegliere, interpretare, tra-durre e con-porre la sua irripetibile, individuale salienza come compartecipe ‘a solo’ della omologa, corale diversità in cui respira e aspira, si esprime e convive, dinamica e multanime, l’univoca ‘chàris’ del cosmo: amorosa grazia di cui il monodiano Caso ha/è Necessità che contiene, intrattiene e svolge la chaotica, kerigmatica, inconoscibile, ma con-possibile Causa.

Mai come in quest’opera la speculativa/speculare ‘cifra’ del suggestivo poematico/parenetico bio-logos del “Grande Inquisitore” Scarselli -“il cui mestiere | è smascherare senza gran dolore | i molesti, inconfessabili pensieri | che senza rime nessuno vuol vedere”, e sovente rappresentata in precedenti opere in labirintici lazzaretti carnali infestati da una nuda/cruda/bruta visceralità urente/implorante/sguazzante nel fetido guano/guado delle sue ostensive ossessioni/deiezioni/abiezioni/dissacrazioni – qui si leva da cotanta sordida e torbida vorago/vertigo priaposodomomachica per per-vertire e con-vertire l’itinerario vitale – come nella parabola del figliol prodigo di cui a Luca 15,11-24 – nell’ ‘epistrofè’ alle Superne Altezze dello Spirito: ‘Novum Verum’ di ‘Ratio et Spes’, compenetrato di numinosa/generosa ‘Voluntatis Dulcedo’. Dopo le sterili esperienze nichilistiche degli ultimi due secoli, alla Caritas di questo ‘Novum Verum’, radicale simbolo/sintomo di un’unica Via di Verità nella Fede, Scarselli attinge l’umiltà del coraggio per conseguire, dimostrare e consegnare ai venturi secoli ‘sub specie aeternitatis’ del proprio gesto/genio artistico, quel decantato/disincantato orizzonte di post-francescana, (putnamiana) ‘capacitazione’ solidalmente/pragmaticamente allargato e condiviso per convivere ‘semplice-mente’ (non ‘ingenua-mente’) nel provvisorio condominio del mondo insieme alla caleidoscopica comunità di tutte le sue polimorfiche, monomateriche creature: fra le quali c’è anche l’uomo, pars inter pares ‘al di qua’ di tutte le sue molteplici salienze e crescenti sapienze. Come scrive M.Eckart nei sermoni tedeschi, uomo fatto e atto per ‘stare all’esterno come all’interno, abbracciare ed essere abbracciato, contemplare ed essere contemplato, tenere ed essere tenuto’, praticando e contemperando l’ antropologica sussidiarietà per crescere e mescere con la già kantiana (ora lévinasiana) ‘responsabilità della ‘volontà’ – sodale/peculiare fondamento speculativo della ‘fiducia’ wittgensteiniana, ri-eletta dall’attualità filosofica di S. Cavell e H.Putnam – la ‘responsorialità’ nell’ ‘attualità’ dell’ ‘evo-devo’: nuovo, integrale umanesimo panrelazionale in cui aspirare e intuire, percepire ed esperire, aderire e affidare, comunicare e confidare consente e consacra quella pacificazione conoscitiva della Carne che, nutrita dalla sapienza del suo consustanziale Spirito, ‘sa’ prima di conoscere pur senza sapere ‘perche’, come la mistica rosa di Silesio che fioriva e rifioriva sempre dalla/nella sua innocente assenza di relative, vane domande/risposte.

Con queste premesse, credo davvero di poter peccare d’azzardo affermando che mai come in questa vaticinante “fiaba della guerra e della pace” Scarselli rinviene e racconta l’iniziatico ritorno alla parabola della propria tradita/smarrita, filiale identità, corporal-mente immessa e compenetrata nella amniotica costanza/sostanza delle cosmiche/sintoniche armonie della “genesis” iniziale che sgorgava e inondava, fluiva e sostentava con la sua straordinari-età edenica il divenire d’omnia mundi: un mondo consanguineo di religiosi sensi e segni, atti e fatti, in cui l’homo antecessor a tutte le sue darwinistiche mutazioni di “ordinario collezionista” di sempre più evoluta, efferata cainità perpetrata, macinata/contabilizzata/giustificata nel “palazzo del Grande Tritacarne” della sua permanente historia di suberbi eccessi/successi commessi a danno dei c.d. ‘poveri’ (e non solo ‘di spirito’), s’incontra, cospira e congiura nella ri-generativa gestazione delle mutue/mutevoli alleanze libera-mente fluttuanti nella mobile immanenza dell’agostiniano ‘ordo amoris’: maternale compresenza che, inerme e indenne dalla esclusiva preclusione del tempo, governa, regge, custodisce e partorisce sempiterna la generosa letizia d’ ‘omnia mundi’, assolta dal mortale peccato del ‘quando/dove/come/perché’, in cui la bellezza del cielo stellato sopra di noi risplende e si spande come luminoso/numinoso specchio e paradigma, monito e memento d’ un intrinseco, comune ordine morale ad imo indelebil-mente inseminato nella fossilità coscienziale del nostro tanto sbandierato DNA (che anche scientificamente conferma la nostra umana specie, autoincoronatosi tre volte ‘sapiente’, come pars inter pares per oltre il 98%...).

Così, il Geniale Cantore/Pedagogico Fabulatore Scarselli si scopre stavolta, dopo il suo appartato, altero Gran Rifiuto d’ogni dichiarata/declinata appartenenza e correo/correlato ruolo corredato di conseguenti/conseguite cattedre e connessi/comodi ermellini, Intrepido Homo Viator al Solitario Oriente d’ogni inchinato/incoronato coro e postulante/trasmigrante stuolo che, avanzando à rebours ‘passo a passo’, e ‘mente nelle mani’ d’una cordiale e corale, mistica compassione, ri-con-duce l’uomo sapiente e tecnocraticamente possente, all’ amplesso con la (sua) primigenia natura, ri-scoperta, ri-edificata e ri-con-giunta come pre-diletta “Sposa, Madre, Sorella” al “candido grembo” di quei creaturali/vitali con-sensi “colpevolmente dimenticati” al prezzo del protratto/protervio esilio esistenziale: un esilio da salire e patire, come demiurgica ‘ziqqurat’, fino alle estreme efferatezze delle sue carnali cime, da tra-scendere abbandonandosi all’ardimentosa inversione della mèta, con-vertita nel rientro al primitivo campo base, dove riprendere a lavorare in quota e in cordata per essere ciascuno “un Giusto fra i giusti” vivendo, amando e morendo come tutte le altre “felici creature del bosco” che “non desiderano mai niente altro/che di essere alberi ed erba”. Così, “contente d’avere vissuto”, esse nascono e rinascono infatti “dalla terra/anche dopo la morte dei figli”, senza il fardello/orpello della “ingannevole Conoscenza, | quella Fata Morgana | scaturita dal vizio” della vecchia, tautologica Ragione/filosofica Prigione che prepara e dispone, infligge e propaga, attraverso i suoi sempre più efferati, raffinati riti senza più miti, il pandemico, autoimmune, letale virus del Male. Solo in questa ri-creativa dimensione, il disfacimento del senso, impaludato negli artificiosi, sovraesposti/imposti paradisi della globalizzata cogenza vitalistica dov’ “è la Vita che si uccide con le sue mani” sempre pronte a predare, spogliare, sbranare le proprie “vittime rassegnate” (e deputate), riemerge dalla con sensitiva scelta post-intellettuale dall’A. operata con rigoroso/amoroso ardore nel solco di quella tra-dizione sapienziale che rintraccia e trasfonde l’umiltà d’insegnare nel coraggio d’imparare, testimoniare e tramandare ciò che altri hanno saputo e creato prima di noi, ri-animandolo per farsi ‘contanimare’ e così concorrendo, con la stessa intima/intuitiva intensità/densità di attenzione/intenzione, a ri-creare attualizzando quella che Ortega y Gassety definì ‘circumstancia’. Di questa ‘circumstancia’ Scarselli assume con il sentire della mente la valoriale/plurale fattibilità di “singolare miracolo” che risorge – negletta e spregiata in secolari, guerrieri letarghi di de-sensate superomistiche pretese/imprese – la sola “buona novella” che può dare davvero “significato all’esistenza” nell’ascolto degli “innati bisogni del cuore” in cui è con-segnata/insegnata a ciascuno dei “Giusti” la dritta del “cammino mortale/per tornare alle origini della vita”: una Vita Maiuscola di minuscole, essenti trasparenze/corrispondenze, final-mente vissuta/protesa all’attesa della “straordinaria Apparizione” di quella “luce divina d’Amore” che, nella nostra genetica attitudine di “tetre oscene creature” ingorde di sapere, possedere, conquistare, dominare, abbiamo allontanato dal nostro insito/intrinseco umanesimo, fructus ventris naturae crudelmente spremuto, spregiato e goduto in sanguinarie/planetarie carneficine, vieppiù ingarbugliando, calpestando e distogliendo la connaturalità del mondo dalla sua primordia, interconnessa rete di virtuosa (non virtuale) edenica grazia, dove trasmettere è partecipare e comunicare annodando, reciproche e pacifiche, le reti della simpatia, degli impulsi, delle vibrazioni, delle ispirazioni e aspirazioni. Ed in quella Luce d’Amore l’A. – “un vegliardo come tanti | sazio della vita e di quel poco | di conoscenza” concessagli “da Dio | nel minuscolo pezzetto di terra” a lui affidato – confida sapendo, con senziente certezza, di “essere atteso” da Colui che, “sempre più irresistibilmente vicino”, sfolgora e folgora di ‘Bonum Verum’ oltre il liminare varco dell’ultima soglia dove ‘Sora Morte Corporale’ “non è più | il castigo per essere vissuti”, ma “candido grembo” di “tanta bellezza” da “salvare dalla morte dell’anima” che ha “osato di vivere”, carnalmente fedele” praticando, onorando e osannando “le regole più semplici” della Natura, fatta a ‘idemtitaria’ immagine e somiglianza con la materia del suo stesso Spirito.

Concludo, affermando che in quest’ultima opera Scarselli (che non vuol essere nomato “poeta nemmeno per errore”) perviene ai vertici dell’ altezza epica, etica e poietica dei grandi poemi d’ogni tempo, in quell’ artistico supporto e ri-creativo contrappunto alla tradizione filosofica che da Platone arriva fino a Heidegger ed alle sue più recenti riletture evolutive. Dopo l’ esumazione dell’epos nella sua letteraria valorialità di ‘genere forte e organico’ auspicata da E.Zolla – nel ‘900 rappresentata da Rilke e Eliot – nell’odierno ripiegamento solipsistico dei germinanti/dilaganti orticelli coltivati senza mèssi nella comoda moda dei facili modi dettati dalla fugace ebbrezza/vaghezza dell’attimo, dove la medietà linguistica e tonale svilisce/tradisce la consensitiva capacità del ‘fare’ poetico, Scarselli getta un fascio di numinosa luce sul mistero della tragica condizione umana in balìa della conflittuale cainità sempre in corso nei ricorsi della storia, in drammatiche pagine di risorgiva/significativa esemplarità espressiva additando con rigore e amore una nuova prospettiva di riflessione sulle questioni fondamentali del ‘volere | essere’, infine deprivato/depurato dalla brama di ‘sapere/avere’. In questa ‘contemplattiva’ ‘kenosis’ egli rintraccia e ri-con-pensa infatti la sorgente del pensare, consentire e interagire in quell’inscindibile ‘Unitas’ di gioia e lutto – già indicata, da Eschilo a Holderlin e Nietzsche, attraverso gli gnostici e i qabbalisti – quale unica via di con-possibile ritorno al candido ardore e saggio ardire d’una compassionevole/festevole semplicità: creaturale semplicità, rinvenuta e attinta anche – e forse proprio soprattutto – tramite la distonica/cronica crudeltà d’ogni inenarrabile/inspiegabile, esistenziale/carnale sofferenza, per cui – memori e mentori di A.Silesius – possiamo/osiamo dire “Mistero insondabile! Dio ha perduto se stesso: | per questo vuole essere in me rigenerato”.

maggio 2008

Recensione
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