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Prefazione a
Il senso romanico della misura
di Rossano Onano

la Scheda del libro

Ubaldo Giacomucci

Devo confessare che la poesia di Rossano Onano mi ha sempre convinto, sia nelle numerose raccolte pubblicate finora in volume, che nei testi che occasionalmente mi è capitato di leggere prima della pubblicazione in volume, ancora inediti o in riviste.

Ma ciò che più mi colpisce ogni volta, nelle poesie di questo Autore, è la perfetta padronanza di quello che per me non è semplicemente uno “strumento” espressivo: il linguaggio. Secondo molte teorie psicoanalitiche o filosofiche, infatti, il linguaggio non è semplicemente uno strumento di espressione, ma è anche un costituente essenziale del nostro essere: l'inconscio stesso è strutturato come un linguaggio (Jacques Lacan) oppure, addirittura, il linguaggio è “la casa dell'Essere” (Martin Heidegger).

Da qui può partire un discorso davvero molto complesso, che ci porterebbe troppo lontano, basti accennare che, secondo alcune di queste teorie, la poesia è “l'essenza del linguaggio” (sempre Martin Heidegger). Accade quindi che non è l'uomo a esprimere il linguaggio, ma piuttosto è il linguaggio che “ci parla” (sempre Jacques Lacan).

Eppure Rossano Onano sembra smentire alcune di queste teorie, grazie alla sua padronanza del linguaggio, che sembra piegato a esigenze espressive complesse, frutto di una decisione razionale e di un atto d'imperio dell'Io: parte non secondaria della sua poetica è infatti una costruzione linguistica, spesso di tipo affabulatorio, che si esprime con un ritmo basato sul respiro o su molti accenti, con un verso lungo, e un tono spesso discorsivo. Il fascino di questa poesia è invece proprio nelle immagini surreali, stranianti, che fanno riflettere il lettore e lo conducono sull'orizzonte del senso, o meglio sul discrimine che, partendo dai possibili significati, rende al testo il senso (il segno) del discorso.

Grazie alla felice combinazione di senso e ritmo in questo libro, che ha il titolo emblematico di “Il senso romanico della misura”, la poesia di Rossano Onano ci si presenta con una sorta di forza evocatoria magico-alchemica, in cui tuttavia anche l'ironia ha una sua parte. E qui forse si schiude il senso (e il fulcro del modus stilistico) di questa poesia: il tentativo di dominare il linguaggio è comunque un tentativo riuscito, ma solo per un attimo, e tutta la costruzione è in funzione di una manque, che l'Autore in realtà ben conosce e mostra al lettore: “Possediamo un senso romanico della misura / e lunghe nicchie d'ombra ed una barocca paura”. Non a caso con questi versi si chiude il poema/silloge (altra particolarità di questo libro di poesie è proprio la singolarità di riuscire a combinare il poema con la silloge, numerando 62 “poesie” che in realtà sono parti o stanze di un solo, lungo poema): “possedere il senso romanico della misura” è proprio il preteso (o presunto) dominio del senso da parte dell'uomo, che in realtà deve accettare di essere composto di “lunghe nicchie d'ombra” (l'inconscio), e di non poter dominare neppure “una barocca paura” (l'esistere e le scelte dell'esistenza), figuriamoci poi il linguaggio, che costitutivamente lo forma... In effetti in queste poesie/poema si compie un percorso complesso, una sorta di storia onirica dell'umanità o di epica rovesciata, allo specchio, il tutto espresso con uno stile originale, a tratti quasi “eccentrico”, nel senso che si adatta all'oggetto del discorso, e diventa di volta in volta eccessivamente parentetico, o marcatamente allusivo, o chiaramente “agito” dal lapsus o dal suo interrogarsi nell'uomo d'oggi.

D'altronde, “l'interesse mitologico è proprio così insito nella psicologia, come l'interesse psicologico è insito in ogni attività poetica” (Thomas Mann, “Freud e l'avvenire”).

Secondo Thomas Mann lo sforzo della psicologia del profondo, di risalire all'infanzia della psiche del singolo “è nello stesso tempo anche uno sforzo fatto per penetrare nell'infanzia dell'umanità, nel primitivo, nel mitico. Freud stesso ha riconosciuto che tutta la scienza naturale, la medicina e la psicoterapia non erano state per lui che un rigiro, e un ritorno – durato quanto la sua vita – all'originaria passione della sua giovinezza per ciò che riguarda la storia dell'umanità, le origini della religione e della morale...” (Thomas Mann, “Freud e l'avvenire”).

Intendiamoci bene: Rossano Onano non cerca le soluzioni agli eterni problemi dell'essere e del divenire, dell'esistere e del morire, piuttosto ne smaschera l'inadeguatezza o l'impostura, non cerca “la Verità”, ma mostra le verità alternative a questa: ecco la funzione dell'ironia, che mostra cosa c'è nel quotidiano e nel concreto, dietro le maschere del Grande Sogno dell'Occidente, etimologicamente la terra del tramonto, forse la terra del tramonto dell'essere e della verità. Possiamo quindi accettare anche per questa poesia, che è vera poesia, ciò che risponde Martin Heidegger alla domanda “Perchè i poeti?”: “Il canto che dà il nome alla terra cantata continua a esistere”.

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