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Veniero Scarselli alla ricerca della vita oltre la morte

Veniero Scarselli, il cui merito più grande è di aver dato avvio a una svolta poematica e non-ermetica della poesia italiana, ci aveva abituati a un ritmo incalzante quasi annuale di libri che, pur differenziandosi per i contenuti, erano accomunati dalla dolorosa lacerazione, propria di molti scienziati, fra una razionalistica visione del mondo e l’ancestrale bisogno di fede cieca nel Divino. Dopo le disperate invettive dei primi libri per l’infelice condizione della ragione umana, che impedisce al cuore di credere, in quelli successivi abbiamo assistito alla ricerca accanita di qualsiasi prova di Dio che potesse contentare anche l’intelletto, fino a fargli immaginare nel grande Orologio di Straordinario accaduto a un ordinario collezionista di orologi, del 1995, un tramite meccanico che lo aiutasse a congiungersi con un Dio pancosmico alla Giordano Bruno. Ne Il Palazzo del grande Tritacarne, del 1998, è ricorso perfino a sofisticate alchimie e bombardamenti neutronici che estraevano dalla carne una sorta di sostanza metapsichica somigliante all’anima, quindi conciliabile con la ragione dello scienziato. Da allora Scarselli non aveva pubblicato più niente lasciando indovinare una pausa di riflessione che nel 2002 l'ha portato, potremmo dire fruttuosamente, alla Ballata del vecchio Capitano (Ibiskos Editrice, Empoli 2002), un poemetto il cui incipit confessa: La mia vita fu a lungo avvelenata | dall'iniquo mistero della morte; | vivevo nel timore che una notte | il mio piccolo io nel grande letto | si perdesse per sempre senz'appello | nell'orribile silenzio dell'eternità. Racconta quindi d'essersi imbattuto nel relitto semiaffondato d'un vecchio piroscafo, dove trova il teschio dello sfortunato capitano lasciatosi morire con la sua nave. Questi lo prega di recitargli all'orecchio il Libro tibetano dei morti (testo sacro buddista che conduce alla salvezza solo che il defunto lo senta recitare) per liberargli l'anima dalle povere ossa, dove essa era rimasta impigliata per punizione. Come un figlio devoto | m’appressai con rispetto alla sua tempia | e a bassa voce recitai lentamente | e a lungo le parole dei Sapienti | finché vidi il suo volto sereno. | Ma non seppi trattenermi dal violare | quel regno di morti, e ansiosamente | scrutai la sua pupilla nell’istante | in cui stava abbandonandosi per sempre | alla vitrea fissità della morte.

Cerchiamo di capire l’evoluzione del Poeta durante la pausa di rilessione fra il suo Tritacarne e questa Ballata. Abbiamo visto che Scarselli non poteva accettare la realtà del Divino, nemmeno l'esistenza dell'anima, se non fosse corroborata da qualche prova almeno "indiziaria". Ossessionato dal bisogno di toccare con mano almeno un po' di verità scientifica su ciò che accade oltre la morte, questa volta si rivolge a quella regione di confine che sta fra la metapsichica e la tradizione spirituale dell'oriente, confortato in questo anche da una consolidata credenza popolare occidentale. In quest’opera il Poeta è convinto che nell'istante del trapasso sia rimasta impressa nella pupilla del vecchio capitano la vera fotografia di ciò che vide | della Vita oltre la Morte, il flash di luce | precluso a noi viventi dal muro | così spesso ed opaco delle tenebre | della nostra cecità. Nel suo racconto si fondono, in una unità originalmente eclettica, conoscenze provenienti dalla scienza del paranormale, esperienze di estasi dei santi occidentali e orientali, e soprattutto quelle raccontate da chi è "risorto" da un coma cerebrale profondo: racconti verosimili perché tutti straordinariamente concordanti circa la realtà di una vita oltre la morte. Tali conoscenze sono probabilmente tramandate da molti secoli anche in Occidente, se le visioni di un tunnel oscuro che l'anima del morto deve percorrere per arrivare alla Luce erano note anche ad un Jeronimus Bosch, come si può vedere con fedeltà quasi fotografica nel suo celebre dipinto "Ascesa all'Empireo". Il tunnel che sfocia nella Luce è infatti ciò che vede il Poeta scrutando nell'occhio del Capitano ed entrando prodigiosamente nella realtà metafisica: sì, vidi, vidi, il diaframma | che separa il mondo dei vivi | da quello silente dei morti, | il fondo luminoso del tunnel | che esce dal nostro universo | e come un cordone ombelicale | porta al luogo d’una luce suprema | così piena d’amore e di grazia | ch’io subito potei riconoscerla | come quella dolcissima della Madre. Dove ancora una volta ricompare un tenerissimo Dio-Madre dal cui Utero noi tutti siamo usciti.

Questa visione, che lo riempie di speranza, è il nuovo messaggio di questo cercatore di Dio che mai aveva cessato d'inseguirlo. Tutto l'avvincente racconto, dall'avventurosa esplorazione del relitto al colloquio col teschio del capitano, fino all'estatica visione e alla soprannaturale resurrezione del relitto del piroscafo, che il Poeta disincaglia e guida verso l'Oceano di Luce, è di un lirismo che lascia senza fiato; e sembra anche un nuovo passo dell’ex-scienziato verso il definitivo abbandono dell’ingannevole ragione per un pacificante avvicinamento alla fede, traguardo che auspichiamo venga compiutamente raggiunto in una prossima opera. E’ anche di una forza travolgente il sacro furore del Protagonista che, preso il posto del comandante, riavvia le macchine arrugginite e il fuoco nelle caldaie, disincaglia il piroscafo e lo guida verso la salvezza. Quando infine la Nave corre a tutta forza sull’onda ed è terminato il compito affidatogli dal vecchio Capitano, si legge nell’ultima lassa: Una Mano mi volle sollevare | prima dell'impatto fatale | della Nave con la grande Luce (...) Mi ritrovai su di una piccola scialuppa | con una vela leggera di fortuna | a contemplare senza più timore | quelle stelle benevole indicanti | la buona rotta alla mia nuova vita | e come un uomo giusto | attendere alle cure quotidiane | e alla fine serena dei miei giorni. E in questi versi non si può non ravvisare un ricordo del ritorno dantesco fra gli uomini dopo la sua grandiosa visione.

Un poemetto dunque costruito magistralmente, una lettura che si fa tutta d’un fiato travolti anche noi nell’avventura; ma che invita a riflettere, come tutti i libri di Veniero Scarselli, gettando una luce di speranza a chi ancora dubita che esista una vita oltre la morte.

Recensione
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