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L’opera omnia di Veniero Scarselli: un insegnamento poetico e morale
Veniero Scarselli ha
pubblicato recentemente con l’Editrice Bastogi un’opera veramente monumentale,
Il Lazzaretto di Dio, che raccoglie fittamente in un unico volume di 436
pagine tutti i suoi dieci straordinari poemi. Porta anche il sottotitolo
apparentemente sconcertante, incastonato in un perfetto endecasillabo, di
Rospi aquile diavoli serpenti, in cui è chiara l’allusione alla triste
condizione di una umanità malata dove ognuno è un miscuglio di materia infernale
(rospi diavoli serpenti) ma anche di sostanza divina (aquile)
capace di elevare la mente a livelli sublimi. Il dipinto di J. Bosch in
copertina sta lì a rappresentare tutte le abiezioni dell’infelice Lazzaretto in
cui come infermi vegetiamo, pecchiamo, subiamo la morte, e talvolta riusciamo
anche a superare i nostri limiti umani.
Tutti i poemi di Scarselli,
pubblicati uno dopo l’altro nell’arco d’un quindicennio, già avevano fatto
scalpore per la forza quasi violenta del nuovo linguaggio e per il coraggio di
affrontare spinosi temi esistenziali sempre trascurati dalla poesia, per la
padronanza dimostrata nell’uso della lingua tradizionale piegata a rappresentare
modernissimi problemi esistenziali e per il recupero e il rinnovamento del poema
classico che Scarselli ha portato a divenire voce di una moderna poesia
dell’oggi indicandone forse la strada futura. Ora che possiamo ammirare i suoi
poemi tutti insieme, ognuno un gioiello più bello dell’altro, e farne un
bilancio, appare in tutta chiarezza il filo conduttore che li lega, così da far
dire a molti critici che questo nuovo libro è in realtà un unico grande poema in
dieci capitoli. Infatti il suo filo conduttore, tutto in salita, è il continuo
sforzo d’un uomo per uscire dalle tenebre in cui è avvolto il mondo e guadagnare
la luce della Verità. Una ricerca ascetica anche se mai conclusa; il Poeta
infatti è consapevole che la Verità non si lascia afferrare dalla mente umana ma
solo dalla fede e dall’Amore.
Ma oltre al suo alto
contenuto ascetico e morale, è importante ribadire come la poesia di Veniero
Scarselli abbia aperto – proprio nell’ultimo decennio del millennio scorso – la
via poematica e narrativa che dovrà seguire la poesia nel terzo millennio,
l’unica via capace di toglierla dal ghetto dei poeti e degli addetti ai lavori e
avvicinarla ai reali bisogni della gente per farsi leggere senza chiavi speciali
da chiunque sia stato in una scuola media. Non a caso Giancarlo Oli, il grande
lessicografo scomparso, scriveva: “Scarselli è il primo autore che dai tempi
della scuola provo il gusto di leggere e rileggere e riascoltare (...) Il
lettore è come irretito e indotto ad abbandonarsi mani e piedi legati alla voce
del Poeta-Maestro” (L’Indipendente, 27 Gennaio 1993, pag. 17). E
ancora: “Solo un vero poeta poteva dedicare la sua vita alla poesia epica,
senza piegarsi al vaniloquio imperante (...) Tentare di nuovo la poesia
epica non significa farsi il contraltare di questo o quel poema, di questo o
quel poeta; significa piuttosto riconferire alla poesia una voce che essa
sembrava aver perduta, un’esemplarità significativa anche sul piano morale ma
soprattutto su quello della espressività e della persuasione, e quindi della
capacità di trascinare e commuovere” (Alla Bottega, XXXIV, N.5, 1996, pag.
11). Anche Walter Mauro ha chiaramente percepito la necessità dell’operazione di
recupero linguistico e narrativo intrapreso da Scarselli: “Una poesia ardua e
complessa, che indica alla parola poetica dell'oggi l'unica strada percorribile:
quella che dalla concettualità del dettato conduce direttamente al mistero
impenetrabile della scrittura” (Talento, VII, N.2, 1997, pag. 40). Per
Scarselli il poema è l’unico mezzo con cui si possa esplorare con continuità un
tema importante sviscerandolo in tutti i suoi singoli aspetti, anche
contraddittori. La sua invenzione di suddividerne la materia in “lasse”, o
stazioni, anziché trattarla senza interruzioni, consente al lettore di
soffermarsi ad ogni lassa per meditare sul particolare aspetto da essa trattato,
alleggerendo in tal modo la lettura. Questo modo di suddividere la narrazione in
lasse, quasi come piccoli capitoli o paragrafi di un libro, ha suggerito a
Giancarlo Oli la somiglianza con le medievali Chanson de geste.
Come si è detto, in questo
Lazzaretto di Dio ci sono tutti i poemi pubblicati dal 1988, ai quali
Scarselli per anni, pur dopo la loro pubblicazione, con ammirevole tenacia si è
dedicato a rimaneggiarli e perfezionarli perché risultasse più chiaro ogni
pensiero, ogni verso, ogni parola. Fin dalla prima uscita di Isole e vele
(Forum-Quinta Generazione, 1988), e poi con saggi teorici pubblicati su varie
riviste, egli si era fatto antesignano della svolta poematica della poesia; a
quell'opera d’esordiente (ma con alle spalle tutta una vita di intensa
sperimentazione poetica, poi ripudiata) egli poneva il sottotitolo di Romanzo
lirico, con cui designava per la prima volta in modo esplicito il programma
di poemi narrativi in versi che intendeva portare avanti. Seguì subito infatti
nel 1990 l'ormai famoso, perché dirompente e in qualche modo per i benpensanti
dissacrante, Pavana per una madre defunta (N.C.E., Forlì), poema
epico-cosmologico d'impronta lucreziana mirabilmente unitario, e nel 1991 un
secondo romanzo lirico, Torbidi amorosi labirinti, edito ancora da
N.C.E., con cui Scarselli, raccontando una storia d'amore e morte, portava
questo nuovo genere ad una perfezione forse ineguagliata per omogeneità,
consequenzialità e struttura architettonica. E' interessante riportare ancora
l'autorevole opinione del compianto linguista Giancarlo Oli sui primi poemi di
Scarselli: essi, oltre ad essere tutti straordinariamante avvincenti, “sono
così rappresentativi dei problemi esistenziali del nostro tempo da segnare, più
opportunamente che la ‘Giovanna D'Arco’ della Spaziani (anche
cronologicamente successiva) la data del ritorno al poematico e la fine del
lirismo ermetico”.
Da allora questo instancabile autore,
che non ha mai pubblicato singole poesie o raccolte, ha scritto solo romanzi
lirici o poemi strettamente monotematici in cui è maestro nello sviscerare i
temi più brucianti che hanno da sempre occupato la mente dell’uomo, regalandoci
una serie copiosa di capolavori: Priaposodomomachia (N.C.E. 1992), una
guerra contro il Male calata in epoche cavalleresche; Eretiche grida
(N.C.E. 1993), l'urlo disperato d'un eremita contro un Dio che si nasconde;
Piangono ancora come bambini (Campanotto 1994), un sommesso colloquio colmo
di pietas con la salma della madre; Straordinario accaduto a un ordinario
collezionista di orologi (Campanotto 1995), un poema metafisico introdotto
da un entusiastico saggio di Giancarlo Oli, e in cui Dio finalmente si mostra al
Poeta in estasi quando ha raggiunto il cuore del meccanismo del grande Orologio
della torre; Il Palazzo del Grande Tritacarne (Campanotto 1998), una
feroce e grottesca parodia di ospedali e lazzaretti, dove attraverso il dolore
la carne viene mondata dal peccato per poterne salvare l’anima; Ballata del
vecchio capitano (Ibiskos 2002), che narra l’avventura d’un marinaio alla
ricerca della prova dell’esistenza della vita oltre la morte; e infine
Diletta Sposa (edizione fuori commercio, 2003) in cui lo Sposo, sentendo
prossima la fine, chiede alla Sposa d’aiutarlo a dimenticare le ingannevoli luci
del mondo e perfino il loro santo amore coniugale, per poter meglio distinguere
la Vera Luce di Dio fra le false luci degli allettamenti terreni.
Riprendendo le parole già citate
dello stesso Giancarlo Oli (“un’esemplarità significativa anche sul piano
morale”) ci sembra importante mettere in evidenza la statura morale di
questa poesia, che anche quando descrive le perversioni e le malattie più
abbiette del “Lazzaretto” non indulge in tentazioni ludiche ma va sempre
disperatamente alla ricerca del Bene scavando nelle profondità dell’Io o
dell’universo. In questo senso si deve interpretare ciò che Scarselli non si è
mai stancato di scrivere ovunque sulla statura morale che dovrebbe avere il
Poeta, il cui nobile intento dovrebbe essere di indicare agli uomini un punto
fisso di riferimento esistenziale. Ne stralciamo una frase per tutte da
un’intervista rilasciata già nel lontano 1990 a Mario Miccinesi direttore d’una
celebre rivista (Uomini e Libri) oggi purtroppo scomparsa: “Vorrei – per
terminare – abbandonarmi a una speranza oggi sempre più sentita: che la figura
del poeta possa riguadagnarsi la dignità estinta del “vate”, con l’aura di
saggezza, veggenza, autorità morale che promanava da quegli uomini retti e
liberi dell’antichità. E’ un sogno?” (“Uomini e Libri, XXVI, N.128, 1990,
pag. 61).
Ecco dunque cos’è Veniero Scarselli:
non uno che si delizia con poesie occasionali, o sfoghi d’amore, o peggio con
incomprensibili funambolismi ermetici, bensì una delle più acute e disincantate
coscienze del nostro tempo e il più ostinato e appassionato cercatore d'infinito
dentro le pieghe del finito; un valoroso che ha dedicato la vita alla poesia
epico-narrativa indicandoci, con quest’opera omnia che è quasi un testamento,
una nuova via da seguire per salvare la poesia dal naufragio; e ora, come un
umile Cincinnato, sembra volersi ritirare nel suo eremo simile a un Monte Athos,
dedicandosi all’orto e alle sue otto pecore.
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Recensione |
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