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Veniero Scarselli non è nuovo a stupirci. Già dalla sua prima
pubblicazione, Isole e vele (Forum-Quinta Generazione, 1988), e poi con saggi
teorici pubblicati su varie riviste, si era fatto antesignano della svolta
poematica della poesia; a quell'opera esordiente infatti egli poneva – per la
prima volta nella letteratura, come rileva Vittorio Vettori nella prefazione –
il sottotitolo di Romanzo lirico, espressione atta a designare un genere di
poema descrittivo d'una storia interiore, d'un romanzo, appunto, lirico. Nel
1990 segue l'ormai famoso Pavana per una madre defunta, N.C.E., Forlì, poema
epico-cosmologico d'impronta lucreziana mirabilmente unitario, e nel 1991 un
secondo romanzo lirico, Torbidi amorosi labirinti, edito ancora da N.C.E., con
cui Scarselli, raccontando una storia d'amore e morte, porta questo nuovo genere
ad una perfezione ineguagliabile. E' interessante riportare l'autorevole
opinione del compianto linguista Giancarlo Oli su questi primi poemi di
Scarselli: essi, oltre ad essere tutti straordinariamante avvincenti, "sono così
rappresentativi dei problemi esistenziali del nostro tempo da segnare, più
opportunamente che la Giovanna D'Arco della Spaziani (cronologicamente
successiva) la data del ritorno al poematico e la fine del lirismo ermetico".
Da allora questo instancabile autore, che rifiuta di pubblicare
raccolte di singole poesie e scrive solo romanzi lirici o poemi strettamente
monotematici, ci ha regalato una serie copiosa di capolavori:
Priaposodomomachia, N.C.E. 1992, una guerra d'altri tempi contro il male;
Eretiche grida, N.C.E. 1993, l'urlo d'un eremita alla ricerca di Dio; Piangono
ancora come bambini, Campanotto Editore 1994, un sommesso colloquio, colmo di
pietas, con i nostri morti. L'ultimo, Straordinario accaduto a un ordinario
collezionista di orologi (ancora Campanotto Editore, Udine 1995, pagg. 80, L.
16000), è un poema metafisico in 43 lasse che porta un entusiastico saggio
critico di Giancarlo Oli e che può forse definirsi il più alto non solo per
l'originalità della trama e la trascendenza dei contenuti, ma anche per la
perfezione formale. Con un verseggiare puro e fluente, un metro vivacemente
libero ma straordinariamente armonioso, in questo poema Veniero Scarselli si
conferma come acuta e disincantata coscienza del nostro tempo nonché ostinato e
appassionato cercatore d'infinito dentro le pieghe del finito, intento ad
erigere un vero e proprio tempio al Signore della vita e della morte.
In una delle tante notti... del mondo, dopo un accattivante preludio
scandito dal tic-tac degli amici orologi in sintonia col pulsare del cuore
umano, e dentro scenari e atmosfere di grande suggestione che preludono alla
fine del Mondo e del Tempo, succede lo straordinario accaduto che porterà il
protagonista del racconto, in un crescendo di tensione narrativa, alla
folgorante visione del meccanismo e degli ingranaggi divini. Armato della
razionalità dello scienziato e insieme della sete di bellezza del poeta, il
protagonista dà l'assalto alla fortezza di Dio per carpirne il più intimo dei
segreti. Simbolo dell'uomo moderno e profeta di quello post-moderno, fusione di
concretezza e sogno, di carnalità e spiritualità, e libero da qualsiasi dettato
di credenza o fede religiosa, egli si getta nell'avventura temeraria di
raccontare l'inesprimibile.
Il tramite, la difficile strada che porta alla Divinità, è l'enorme
Orologio | originario della notte dei tempi, unico sopravvissuto all'arresto del
Tempo, che col suo quadrante bianchissimo | acceso come l'occhio di un'aquila
sta oltre il silenzio di marmo del Tempo e dell'universo, ormai spenti. Il Poeta
percorre l'erta con impeto: entra nel Non-Tempo, penetra nel nido solitario
dell'Orologio, il Re che come un'aquila si nutre col succo potentissimo | del
proprio stesso prorompente seme. Siamo già nel meraviglioso tempio del Dio
Vivente, da sempre agognato; siamo sulla vetta dell'universo, nella gigantesca
Macchina dove avviene il prodigio della perenne creazione. Ma al Poeta non
basta; egli osa l'inosabile, viola l'inviolabile, penetra nel ricettacolo più
profondo e nascosto della Macchina-Universo con l'audacia del suo carnale ma
forsennato amore di mortale, scatenando l'ondata straripante e irrefrenabile |
dell'orgasmo universale, estasi suprema, comunione del mortale con l'Immortale,
del finito con l'Infinito, straripamento dell'essere creato nell'Essere
creatore, che in questa apoteosi d'amore libera l'anima dai lacci della materia.
E Dio allora finalmente si rivela.
Nulla di più calamitante, credibile e convincente, di questa teofania
scarselliana così profondamente in armonia con le ancestrali e universali leggi
del Creato e delle creature, e perciò resa accessibile alle nostre menti finite,
esperte solo delle piccole estasi umane. Nulla di più consolante, anche, la
scoperta di quello splendido utero divino, rifugio e salvezza al nostro piccolo
io, la grande Luce Sconosciuta che ha guidato e illuminato i passi amorosi,
umili e tenaci di questo nostro poeta; il quale, come sottolinea Giancarlo Oli
nella prefazione, si trova in una posizione di primissimo piano nel panorama
della poesia contemporanea e, in generale, della riflessione esistenziale.
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Recensione |
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