Alle radici del principio
Prima che
la cultura facesse il suo avvento, con la formulazione dei primi linguaggi
verbali e figurati, è verosimile che già esistesse una forma primordiale di
poesia, intesa come cadenzato ripetere di formule volte a scongiurare pericoli e
a evocare spiriti benigni. Affonda quindi in un primario afflato religioso
l’origine del verso.
Se
recuperiamo quel primo stimolo e attraversiamo il sapere che ci conduce ai
nostri giorni, nel regno della complessità più esasperata, possiamo trovare le
ragioni che hanno mosso la penna di Mariateresa Giani.
Ovviamente,
il percorso che conduce di nuovo a cogliere l’essenza primaria dell’afflato
umano non può, oggi, non contemplare di nuovo l’attraversamento a ritroso di
tutte le istanze filosofiche, scientifiche e artistiche che hanno rappresentato
e rappresentano l’umana condizione rispetto all’assoluto. Di ciò è ben
consapevole l’autrice, che rievoca il sentimento religioso, azzarderemmo
“rituale”, con il quale affrontare gli elementi: “Sembra acquisire senso, il
cielo, / dalla sua presenza d’antico piatto / in bronzo lucente, o di maschera /
funeraria d’oro su telo scuro /di un’epoca leggendaria…”.
Il mezzo e
il fine che permette di cogliere l’essenza è sempre e comunque la bellezza,
strumento di dialogo con l’eterno: “Ma è l’anima suprema universale / che nel
fiore imprime la sua grazia”.
Anche la
morte si colloca nell’anello del tempo e risponde alle medesime leggi. Anche la
tomba ha un suo cielo e nel cerchio della storia dell’uomo si compie l’unione
con l’ineffabile: “Sotto un cielo di marmo bianco / e un sole agghiacciato si
attende / il risveglio “.
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