Blasfemie concettuali e aforismi
Di
Pasterius abbiamo avuto modo di rilevare l’estro sperimentale e la curiosità
culturale, che nella scrittura si esprimono accompagnando il lettore verso il
superamento del dato evidente attraverso la valorizzazione dell’esperienza e
della risposta emotiva alle circostanze.
La medesima
curiosità e, in questo caso, l’esperienza come origine da cui trae spunto
l’autore, costituiscono lo sfondo di un mosaico di citazioni, battute, lapidarie
asserzioni e giochi di parole che frammento dopo frammento riscuotono
l’attenzione e provocano scosse rispetto al dato costituito.
Si potrebbe
azzardare che in questo volume si offre, tra l’altro, una risposta alla
tradizione degli haiku nella specifico utilizzo che ne viene fatto all’interno
della meditazione zen, dal momento che con la medesima brevità e icastitictà si
raggiunge, in chiave occidentale e ovviamente del tutto attuale, il risveglio (“satori”).
Altrove
l’elaborazione si banalizza all’estremo nella stessa struttura anaforica o
etimologica della singola parola, mettendo in luce l’assoluta ovvietà del reale
al punto da sfociare nell’assurdo.
Infine, ed
è questo un terzo genere di aforisma frequentato dal nostro, si sfiora
l’accostamento “etico” o, per meglio dire, di costume, laddove ci si sofferma su
temi e/o figure della contemporaneità e, in una prospettiva del tutto ultronea e
trasversale, si restituisce per dettagli al lettore un’inedita visione del giù
noto.
Alle volte
Pasterius accondiscende eccessivamente nella facilità linguistica e maestria, di
cui è dotato, approfittando delle proprie intuizioni verbali per soddisfare un
gusto puramente letterario, ma possiamo considerare tale eccesso un vezzo nel
quadro di un variopinto affresco che potrebbe non avere inizio o fine (prova ne
sia la presenza di un indice senza alcun richiamo ai testi) e che, in quanto
“blasfemo”, supera con l’ironia molti tabu.
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