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I vuoti del mosaico
Tentando di
interpretare il titolo di questa raccolta, si potrebbe ipotizzare che i vuoti
del mosaico siano proprio le parole mancanti che il poeta qui esprime, al fine
di comporre ulteriormente le tessere di un’esistenza che comunque si compie ma
che, nella tessitura del verso, trova e si esprime in forma di logos.
Il pensiero di
Jacobellis segue una linea sfumata di confine tra la poesia e la filosofia e di
entrambe si alimenta in una felice danza intellettuale. Laddove la riflessione
apra la strada al verso, ecco che l’immagine metaforica ne contorna il tratto:
“La luce che declina / scolora di malinconia / a volte è un’ipnosi / e i
pensieri diventano / riflessi di pensieri”. Il poeta indaga con il mezzo a lui
più consono e tenta attraverso di esso di raggiungere una verità che sia oltre
la parola.
Sebbene
assimilabile ad una ampia e ragguardevole forma di filosofia “poetante”, che -
tanto per intenderci - potremmo far risalire a Leopardi per giungere sino a
Zanzotto e nei giorni nostri ad autori quali Flavio Ermini, nel caso di
Jacobellis la scrittura non è un lancio verso il nulla, o meglio non si
configura come resistenza del pensiero a quel vuoto che ci tormenta (o
illanguidisce, se si inclina alla nostalgia e alla malinconia, come nel caso del
poeta di Recanati), poiché il subconscio “è un continuo fluire / nascosto dentro
la coscienza / è un torrente di premesse / con la direzione bipolare / della sua
corrente / è il substrato della conoscenza / e la miniera dei sogni”.
Sebbene in
forma metafisica o, se del caso, allegorica, l’autore indica nella sintonia con
la natura una possibile sintesi (”somigliamo alla nuvola / che cerca l’accordo
con il vento”) e, comunque, non rinuncia a scommettere nella meraviglia, se
dichiara che “L’ombra è amica / nasconde i detriti della vita / è l’altro lato /
la consuetudine del mondo / è l’emisfero / l’altra metà / da radici di buio /
sarà neogenesi di luce”.
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Recensione |
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