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Il sandalo di Nefertari

Dal sito dell’editore Prufrock spa riportiamo la sinossi ad introduzione del volume di Rossano Onano: “Il Museo Egizio di Torino conserva un sandalo di Nefertari, rinvenuto dall’avventuroso Ernesto Schiaparelli nella tomba ipogea della regina. Nessuna notizia del sandalo mancante.

Senza l’oggetto mancante, che produce lo spaiamento, non sarebbe possibile scrivere di ciò che resta. Così Rossano Onano allestisce un catalogo paradossale, in cui Lev Tolstoj interroga la Matrioska con cui giocava da bambino, oppure Giulio II interroga l’immagine introiettata di Papa Borgia, oppure Vlad Dracul detto l’Impalatore si commisera davanti allo specchio. Ma le strategie di sopravvivenza, mutato il registro, sono fatte anche di amori telefonici, di incontri negli ipermercati, di pollici sollevati, significando / che è tutto OK quello che ho fatto che non ho fatto / nella misura di prendere oppure di dare.

Tematizzare la/e poesia/e contenute nel libro è impresa ardua e forse inutile. Come chiarito nell’inciso sopra riportato siamo in presenza di una miriade di occasioni, che non sapremmo neanche definire elenco, piuttosto occasioni (di montaliana memoria) da cui scaturisce la scrittura di Onano.

Varrà la pena, quindi, soffermarsi proprio sullo strumento espressivo, non mancando tuttavia di rilevare come da ciascun testo trapeli una conoscenza (e amore della conoscenza) approfondita e ragionata, a testimonianza di un impegno dell’autore nell’esplorazione del l’estro umano sul piano artistico – ad ampio spettro – storico e psichico (non a caso di professione psichiatra). Gli eventi o i personaggi storici da cui prende le mosse il verso, i riferimento letterario, l’episodio o cliché sociale non sono mai accostati a grado zero, confluendo qualsiasi elemento appreso in un calderone che sembra in perenne ebollizione per offrire al poeta gli ingredienti di una nuova ricetta.

E certamente non si risparmia l’autore nell’esercizio dell’amalgama. Pur schernendosi con ironia (la parola è alta la parola è forte la parola è una bella cosa / però ci abbisogna un luogo dove pronunciarla), Onano adotta con eleganza e leggerezza giochi di parole, allitterazioni, enjambement, configurando un tessuto ritmico e retorico di grande tenuta e, allo stesso tempo, di immediata resa: “Mia timidezza, quasi un peccato / di malaffare, subìto o fatto, sottile / di lama fra cuore e costato, coatto / quanto basta perché l’anima dica cosa ci posso / fare, avarizia, alibi terrestre / che conta trenta denari (e l’ala / riflessa sul campo di grano è l’ombra velocissima / dell’albatros, dell’aeroplano?): ascolta / bene, datti un poco da fare, mia timidezza / d’amore o trincea, pavone diurno, indotta / o caratteriale (l’ombra d’albatros ha odore di fosco / mare): resisti, ancella purpurea o disfatta /rosa, rocca di parte guelfa o ghibellina / scoscesa, ultima difesa, medicina.

Lo sguardo di Onano è posto al di sopra dell’oggetto testuale, che domina con assoluta padronanza. Non è escluso alcun registro, laddove la consapevole mano di chi scrive accompagna il passo del lettore anche quando ad attenderlo c’è lo scarto, lo spiazzamento: “Fai la ninna fai la nanna / bimbo bello della mamma / con la fida rivoltella / il papà è partito in guerra / a vegliarti fiero e cupo / nella notte viene il lupo / mentre mamma si riposa / senza l’abito da sposa / nel lettone col dottore / che guarisce il suo dolore ”.

Lasciamo il lettore con una suggestione ulteriore, l’impressione che serpeggi (anche) in tale e tanta maestria e capacità di giocare con il linguaggio (nonché di fascinazione nei confronti del lettore) una sottile inclinazione verso una sorta di rassegnazione e/o predestinazione di vago sapore decadentista, lasciata all’ambiguità dell’interpretazione altrui: “Una lunga milizia di ragione: noi / abbiamo rispettato le regole d’ingaggio, / senza saper quali fossero, chi le avesse / in qualche modo pronunciate…”.

Recensione
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