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La piega storta delle idee
Della propria terra, la Lucania, Di Lena porta le stigmate.
Più che l’amara ironia di Vito Riviello, Di Lena pare rinnovare una sconsolata
partecipazione che nelle pagine di Rocco Scotellaro ha già scolpito il confine
di una geografia aliena. Tuttavia, in queste pagine, l’inclinazione ad una
visione quasi bucolica della civiltà contadina cede il passo all’indignazione,
ad una presa d’atto che, se pure rileva il torpore di una società, tuttavia non
può mancare di sporgerne denuncia.
Di Lena è un poeta della realtà. La propria e quella che lo
circonda. Il verso non è, in questa scrittura, misura di un canto o codice di
ingresso ad orfici o ermetici labirinti. Non trova albergo alcuna allegoria,
giacché il verso è lapidario e immediato strumento in cui un testimone del
proprio tempo assume per noi tutti la responsabilità di dire e dirci quanto non
vorremmo: “Per noi, nessuna novità”. Perché anche questo, soprattutto
questo, è il fine dell’arte: richiamare l’attenzione su quanto, magari sotto gli
occhi, non viene osservato. La poesia resiste all’usura e rimane oltre il rumore
di fondo del quotidiano: “E adesso / che il male è nel sangue, / le ossa sono
frantumate / e la bufera ha distrutto ogni cosa, / vorremmo dire basta, / ma
siamo ancora in letargo.”.
Ecco che il poeta rimane a vigilare, alla veglia per chi
invece è rimasto preda di una sonnolenza letale: “Si sta soli – come candele
- / a soffrire in mesto silenzio”.
Nessuna speranza, quindi? Di Lena offre al lettore una sponda.
Se nella sezione “Lacerazioni” lo sguardo retto e severo non risparmia alcuna
piega, in “Vicinanze”, pur rimanendo nella cornice di un fiero disincanto,
l’autore risparmia alla corruzione della società il più nobile dei sentimenti.
Soltanto l’amore concede ancora fratellanza e gioia ed è sacrilegio ostacolarlo:
“I tormenti inutili / e le distanze cercate / hanno il sapore della
sconfitta.”.
D’altronde è proprio attraverso l’amore che si comprende la
“lacerazione” del poeta dinnanzi alla propria gente “separata” dalla possibilità
di un lavoro, “distante” da una prospettiva di crescita, “abbandonata” nelle
maglie di un progresso che frantuma l’essere umano.
Paladino di un’umanità sconfitta e di una terra distante, in
lotta per amore di quella umanità e di quella terra. Oltre alla testimonianza e
alla fortissima motivazione etica, proprio lo spirito di sacrificio, la
resistenza per amore e dell’amore emergono come cifre di un autore che, se non
si offendesse il suo pudore, potremmo definire, mutuando il titolo a Lermontov,
un eroe del nostro tempo.
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Recensione |
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