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La solitudine dei metrò
Un quotidiano visto sotto il filtro della propria intimità,
variegato e ricco di sensazioni, è il tema dominante della silloge di Carmelo
Consoli.
L’autore osserva, vive, percorre gli itinerari dei giorni
che si susseguono ai giorni, catturando piccoli miracoli, dando visibilità
all’assenza e al dolore che spesso sono fagocitati dalla fretta senza senso di
una esistenza scandita solo dalle ore terrene.
Il tempo di Carmelo Consoli è un tema proprio, interiore,
in cui ogni volto e ogni gesto ottiene una propria dignità, e spazio nel mondo;
non ci sono differenze tra gli uomini, tra gli animali, e le cose. Possiedono
“vita”, ciascuno a suo modo, e sono partecipi del suo mistero.
“Ho il cielo in tasca (..) / Ma devo stare al gioco dei
semafori, / in coda agli sportelli / esibire codici fiscali / e riempirmi il cuore
di guerre, urbane disperazioni / mentre mi urlano di farmi da parte, e che la vita
si consuma dall’oggi al domani”: l’autore si muove tra le strade del mondo,
rischiando di essere fagocitato dalla sua follia, dal “consumo” indiscriminato
della propria esistenza, che assume meno valore di pezzi di carta, mentre le
proprie aspirazioni si arrendono alla matrice senza volto di una città matrigna,
produttrice di desolazione.
Eppure, proprio in questo paesaggio sconsolato, Carmelo
Consoli scopre dei sentimenti, e ce li racconta quasi con stupore; la passione
che viaggia sulle mura vergate da anonimi amanti, i clochard e i loro cani, i
suonatori per le strade, fiori di lavanda, rondini.. e la memoria, che tesse
un invisibile ma tangibile filo attorno a ciò che resta dei giorni, inventando
un nuovo tempo in cui poter sognare senza farsi disilludere dal presente.
L’autore conduce il lettore in una atmosfera scandita dalla
bellezza, e anche da una dolce , quasi accogliente malinconia; con la
consapevolezza che torneranno, al di là di ogni disillusione e sentimento di
alienazione, gli istanti dove percepire altre fragranze e sensazioni intense,
quei momenti in cui ti perdi / tra le linee sotterranee quasi fossi / in un
intrigo di oleandri e gelsomini.
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Recensione |
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