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L’educatore turbato

Questo libo potrebbe essere adottato come una perfetta sceneggiatura da inserire nella migliore tradizione cinematografica nostrana, e in particolare in quel filone intimista che conta quali registi di riferimento campioni quali Ettore Scola.

Il protagonista di questo romanzo, un professore di liceo in pensione, si avvia con passo lieve a percorrere i sentieri dei percorsi della propria famiglia, tentando, con voce pacata e senza veemenza, di riscuotere i familiari più cari dal proprio torpore o stigmatizzando, sulla scorta di episodi familiari, l’eccessiva disumanità e “spersonalizzazione” della nostra epoca, in cui sembra che tutti siamo connessi ma poi, quando serve comprensione nei confronti del prossimo, non sappiamo leggere tra le righe dell’animo altrui.

Dalla scrittura e dalle vicende narrate emerge come tratto peculiare una sorta di “tenerezza”. L’etimo di questa parola è da ritrovare nel verbo tendere, ovvero stendere. Tenero è ciò che è sottile, malleabile e così l’insegnamento che traspare da queste pagine non pretende di affermarsi, quanto di suggerire un’alternativa, la possibilità di scegliere, la facoltà di esercitare una forma di resilienza rispetto all’incombere della società contemporanea, con tutto il suo gravame di messaggi, tecnologia ed imposizione di modelli e cliché.

L’educatore di questo libro è certamente turbato, ma non provoca turbolenza. L’invito è a riflettere, a calarsi nei panni del figlio, del nipote, della moglie del protagonista; a riconoscersi nel disagio segreto che alle volte neanche ammettiamo di avere. E uscire da quei panni, a nostra volte, con tenerezza e con una propensione al mutamento che può anche e solo consistere in una diversa postura rispetto alla propria quotidianità, perché anche da tanto poco può derivare un differente corso della propria esistenza.

Recensione
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