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Per
Sillabe e Lame
Una grande propensione all’immagine e allo stesso tempo una
grande capacità introspettiva: questa è la cifra inconfondibile (per dirla con
l’autore Paolo Ruffilli, che ha scritto la prefazione al libro “per sillabe e
lame”) che contraddistingue la lirica di Francesca Simonetti.” Strappati,
foglia, dal ramo Tappezza il viale Diventa letto-casa dove si insinua il germe
O il germe caduto caduto per rifarsi fiore “In
questi brevi versi dell’attrice ci appare immediatamente quel senso di
vagheggiamento che permea tutti i suoi testi, quella delicata melanconia che
diventa ideale strumento di rievocazione e lettura di sé.
Il ricordo diventa l’immagine che si fonde con il
presente, e che trasmette al lettore il senso di un sentimento perduto ma
comunque attenua nel suo richiamo Sorprende in Francesca Simonetti la ricchezza
metaforica dei versi che non perdono mai di forza e di immediatezza; il suo io
lirico trascende quelle dimensioni terrene che per la poetessa si fanno “abiti
dimessi,” “Maschere”, “suoni di note stridenti”. La consapevolezza di un
universale che sovrasta il sentire e l’agire umano sgomenta l’azione e l’istinto
di permanenza; i fatti della vita che alla morte appaiono senza scopo, e senza
origine. Pure si solleva nelle poesie una voce di speranza che ci ricorda
l’ultimo Leopardi. In un infinito, permeato di paure ancestrali, si estende la
freccia/poesia che Francesca Simonetti lancia in questo spazio, dove “l’etere
ne tratterrà l’essenza”.
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Recensione |
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