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Poesie prose e jazz
Il volume
presentato si divide in tre sezioni: una prima di poesie, la seconda in prosa ed
infine una serie di scritti attorno al jazz, attività professionale e artistica
cui l’autore ha dedicato la propria vita.
Ad animare
ogni scritto sono due poli apparentemente distanti: il quotidiano (ordinario) e
l’afflato religioso, che l’autore celebra omaggiando ogni manifestazione, in
particolare le più normali, del divino.
A ben vedere,
tuttavia, la parola terrena dialoga con la dimensione spirituale attraverso il
riflesso che il cielo offre ogni volta che la luce illumina. È la semplicità del
dialogo e la consapevolezza della propria fede che permette a Castelli di non
temere pudori, veli alla propria invocazione: “Forse sarebbe troppo / o Dio,
ch’io ti facessi giungere / i sensi del mio affetto?”. Non deve interpretarsi la
postura autoriale quale sfida blasfema, dacché veramente il nostro interroga il
divino e partecipa aderendo con sincerità al grande mistero della vita: “Anche /
quando il pino di Napoli morì / nascosto piansi”.
Nelle prose
ritroviamo la stessa celebrazione del creato sulla scorta di un francescanesimo
moderno; e ancora pagine diaristiche relative a luoghi abitati nel continuo
viaggio in accordo alla musica e ai suoi dettami, o comunque volti a restituire
a spazi, cose e circostanze una dignità che vada oltre il ricordo. Questa cura
dell’ordinario è un esercizio che nobilita l’esperienza umana e con essa, per
chi crede, l’origine di tale esperienza.
Una sorta di
memoriale costituito da brevi narrazioni in ci vengono “fotografati” episodi
tratti dalle varie permanenze in giro per il mondo vissute dall’autore grazie e
in ragione del suo mestiere di musicista.
E proprio un
apparato fotografico chiude il volume, lasciando all’iconografia il compito di
terminare il viaggio, oltre le parole e prima che la musica, di nuovo,
ricominci.
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Recensione |
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