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Eco di un canto alluso e diffuso nei borghi e nelle campagne, e propiziato dall’omaggio iniziale offerto al poeta pecoraro Giacomo Giardina, anima bucolica della rivoluzionaria stagione futuristica marinettiana, Filippo Giordano, il poeta di Mistretta, ha pubblicato il libro di poesie intitolato Ditirambi, lai e zagialesche, che reca per sottotitolo l’espressione nuda e sognante di canto dei paesi, così ricca di emozioni folcloristiche e classiche, insieme unite in un amalgama insolubile e bene riuscito di alta e bassa cultura. Si tratta di memorie, testimonianze, episodi di vita spicciola, teorie argomentative di sopravvivenza e di sviluppo dell’esistenza catturata nella morsa dei lacci e legacci delle convenzioni utili e sociali, il tutto inserito in uno scenario sociale in cui l’antropocentricità non è così opprimente come solitamente accade nella poesia moderna di area metropolitana, ma al contrario Giordano sviluppa e avvalora la sua competente ricerca di una sponda poetica meno impastata di nevrosi urbane e di scontri con la verbosità ispessita nella cute della contemporaneità mito mediatica. C’è in Giordano la capacità e il merito di sapere attingere alle forme ispirative della cultura popolare e del folclore, in un’eco di memoria che, come lascia intendere il titolo del libro e l’erudito studio critico che fa Sebastiano Lo Iacono in postfazione, si riallaccia a una tradizione di alta cultura.

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