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Quello di Veniero Scarselli
è stato un percorso d’autore singolare fino al punto da divenire un caso
letterario, più che altro nato intorno alle polemiche e alla suscettibilità del
Personaggio. Ciò che fa pettegolezzo in Scarselli è quel tanto di
gigioneggiamento che l’Autore acconsente si faccia intorno al suo ruolo
intellettuale e che forse un poco fomenta egli stesso. Quel definirsi
ostentatamente in negativo – non è poeta, non è scienziato, non è filosofo, non
è critico letterario – non si limita a richiamare alla mente gli atteggiamenti
autoironici dei crepuscolari, ma evoca anche quel sentimento del contrario
di luminosa invenzione pirandelliana, sortisce, insomma, nell’effetto opposto,
cioè serve a mettere a nudo la forte radice di attaccamento consapevole alla
tradizione salottiera della letteratura. Perché va detto infatti che Scarselli è
non solo un bravo poeta, ma è in aggiunta un callido letterato, molto attrezzato
e versatile anche nei campi d’impiego minore e nei generi letterari di battaglia
“bassa” della poesia quali l’invettiva o la lamentazione.
Che il grande pubblico sia venuto a
mancare a Scarselli, lungi dal ricadere a suo disdoro, è semmai la cartina di
tornasole che ci indica la sua egregia collocazione, fuori dal gregge dei
pecoroni (anche se, per ironia della sorte, fra le tante impossibili attività
che il Poeta del Casentino svolge con diletto c’è anche il vezzo di pascolare in
un rifugio sugli Appennini quattro pecore e un cavallo). Che sia venuta a
mancare la grande editoria a fianco di Veniero Scarselli, invece, è un fatto che
la dice lunga circa la mai troppo denunciata minchioneria e pusillanimità di noi
editori italiani, e m’includo nel numero per gesto olimpico di autogenerosità.
Per questo va riconosciuto un merito di particolare coraggio e lungimiranza
editoriale ad Angelo Manuali che ha dedicato a Veniero Scarselli, nella collana
Il Capricorno diretta da Maria Grazia Lenisa, un’edizione integrale di
tutti i suoi non pochi poemi fin qui scritti “Il Lazzaretto di Dio –
Rospi aquile diavoli serpenti – Tutti i poemi”, con un saggio introduttivo
di Federico Batini e una preziosa ed ampia riflessione di poetica dell’Autore,
molto godibile e frizzante, “La poesia della Filosofia”, che ha solo il
difetto – senz’altro cinicamente voluto – di un orrendo sottotitolo
rafforzativo: “Guida esplicativa”, come se fosse il manuale in dotazione del
frullino da cucina o i consigli per gli itinerari romantici in bicicletta.
Il fenomeno Scarselli è tutto
compreso in tre lustri, in quei quindici anni che vanno dal 1988, uscita del suo
primo poema Isole e vele, al 2003, uscita del suo ultimo poema Diletta
Sposa: in mezzo ci stanno “Pavana per una madre defunta”, del 1990; “Torbidi
amorosi labirinti”, del 1991; “Priaposodomomachia”, del 1992; “Eretiche grida”,
del 1993; “Piangono ancora come bambini”, del 1994; “Straordinario accaduto a un
ordinario collezionista di orologi”, del 1995; 2Il Palazzo del Grande
Tritacarne”, del 1998, e “Ballata del vecchio capitano” del 2002. La dimensione
della poesia di Scarselli è il poema, cioè l’opera di ampia concezione
argomentativa e di intento universale. Oggi lo sviluppo poematico è più
accettato, ma in un recente passato era reietto. Pochissimi autori ebbero il
coraggio di proporlo, a ridosso dell’ultimo furoreggiare delle Avanguardie e del
Gruppo 63, che teorizzavano il totale dissesto della letteratura (....). Ma
oggi, dopo l’attribuzione del Nobel nel 1992 a Derek Walcott, l’autore di
“Omeros”, appare naturale l’interesse che si rivolge ai poeti autori di vasti
poemi, frammentati ma organici. Scarselli ha una specialità in più, perché è un
poeta filosofo, e non a caso per fare orientamento sul suo genere poetico viene
speso addirittura il nome di Lucrezio, anche se non esiste alcuna contaminazione
o zona in comune tra le argomentazioni poetiche del “Rerum Natura” e quelle
“Lazzaretto di Dio” (ma è sempre possibile essere contraddetti: per esempio,
Lucrezio s’interessa di atomi e Scarselli dal canto suo non disdegna
parlarci di “molecole”.
Il titolo scelto da Scarselli demanda
sia alla metafora della morte di Dio, sia all’endemica condizione di dolore e di
trionfo del Male che è diffusa nell’universo come la malattia lo è in un
lazzaretto, in continua decadenza entropica: la vita, sostiene il Poeta, è
l’evento miracoloso di ribellione al caos irredimibile che governa l’universo e
che lo consuma energeticamente. C’è una compensazione degli opposti, nel
pensiero di Scarselli, per cui si costruisce un precario equilibrio tra
ottimismo e pessimismo: infinite occasioni spingono da uno e dall’altro
versante. La bellezza di Scarselli – convinto assertore della ricerca del Bello
come categoria ordinatrice della vita – sta tutta nel fasto decoroso del suo
incontenibile e massivo discorso poetico, nell’invenzione poetica come avventura
celebrativa del pensiero umano e nella sua sete insaziabile di conoscenza, che
lo porta a concepire l’eroicità di una scelta senza riserve verso la vita, come
adozione di un rischio calcolato sull’azzardo misterico e tenebroso
dell’universo. Va detto che questo “Lazzaretto di Dio” non deve assolutamente
mancare nella collezione di un appassionato di poesia d’attualità.
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Recensione |
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