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La forza di Lucio Zinna in
questo suo ultimo e importante “libretto” di poesie sta nell’innovazione e nel
colpo di timone in controtendenza che egli assesta all’orientamento della
ricerca poetica. È un libretto perché i testi sono appena ventuno, centellinati
e dispersi come i pochi legionari sulla fuga delle mura chilometriche dell’Urbe
assediata dai barbari: testi lasciati soli ad affrontare l’incontenibile
invasione della nuova ed eterna violenza. L’intonazione dell’opera sta tutta in
quell’ottativo che allude all’emigrazione, splendida arca dell’alleanza,
luminescente ponte che travalica il prima col dopo, come Zinna ama sottolineare:
Poter migrare | come gru | come cicogne || un balzo | verso l’alto | da un
tetto | di tegole rosse | un primo | battito d'ali || e via | in direzione
dell'altrove. La ricchezza della metafora simbolista; il verso breve e
contratto, come il taglio di Fontana nel ventre della materia, apre l’intus
al voyeurismo del lettore: discorso sugli strumenti e sugli argomenti del
linguaggio. Zinna allude sornione, sembra che dica: faccio un discorso a
mezz’aria, è un abbozzo sospeso, ma è una rivoluzione shakespeariana di tutto
quello che sta tra terra e cielo, la grande tragedia umana che si orienta e si
imparenta con qualcosa che è in grado di trascendere se stessa. Dice Zinna che
il contingente germina ciò che lo supera. C’è una controtendenza poetica perché
Zinna propone un traguardare la realtà fenomenica, propone di guardare
attraverso la traslucidità della materia: vedere la luce nel diafano delle cose.
E quanta luce egli scorge nel pacato e inesauribile amore rivolto alla moglie,
che lo lascia a mezz’aria, forse anche con un ansioso vantaggio dell’esistenza.
Quanto amore riscopre
nell’agiografia dei gatti e dei santi, entrambi mirabili angeli che dif-fondono
una misura d’amore diversa ma equipollente per la vita.
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Recensione |
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