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Prefazione a
Il Cantare delle mie Castella
di Rossano Onano
saggistica

la
Scheda del
libro
Sandro Gros-Pietro
Il Basso Medioevo, con
l'organizzazione civile ed economica a base comunale e con la concentrazione
della classe dirigente intorno alla corte del locale castello, è al centro di
quest'ultimo bellissimo libro di poesia di Rossano Onano. Va subito detto che si
tratta di una poesia di epica popolare, quella cioè che in altre situazioni si
chiama anche la letteratura del cantastorie, in una sorte di contaminazione tra
la cultura alta e il folclore, perché nacque principalmente come tradizione
orale, ma ben presto acquisì la dignità di letteratura scritta.
Anzi, la
letteratura scritta italiana ha i suoi primi illustri natali un poco all'ombra
dei giganti della letteratura provenzale e un poco per partenogenesi spontanea
come affinamento delle fonti dialettali autoctone che raccontavano storie di
amore divino e storie di amore profano, così si formarono le due grandi strade
dell'ispirazione letteraria italiana: quella chiesastica, principalmente umbra,
con Francesco e Jacopone da Todi e quella mondana, di ispirazione siciliana, con
Giacomo da Lentini, Cielo d'Alcamo, Pier delle Vigne e altri. Ma ciò che
maggiormente ci interessa è la collocazione storica e secolare di questo
“favellare per castella” che va posizionata intorno ai quasi tre secoli
fondamentali che vanno dall'inizio del secondo millennio alla morte di Federico
II di Svevia. In tale periodo splendevano nel cielo empireo del potere due
grandi soli: la Chiesa e il Sacro Romano Impero. Ed erano entrambe due autorità
supreme e lontane dalla popolazione locale, cioè due entità superiori ma
assenti, e rappresentate nei luoghi della vita quotidiana del Castello e dal
Monastero, con tutte le combinazioni possibili, perché talvolta il Castellano
stava con il Papa e talvolta l'Abate stava con l'Imperatore, anche se più
sovente si verificava il contrario, ma era sempre un'alleanza anfibologica e
mutevole, oscillante da una parte e dall'altra. Molti storici hanno già più
volte elaborato un parallelo tra il Basso Medioevo e la situazione europea
contemporanea.
A quel tempo c'erano i due poteri centrali, sostanzialmente uniti
in modo saldo fra loro, sia pure con un'alleanza sempre ritrattata (l'imperatore
del Sacro Romano Impero, potere di emanazione dinastica; e il Papa della Chiesa
Romana Cattolica, potere elettivo di ispirazione divina), e tale situazione di
equilibrio centrale consolidato si contrapponeva si contrapponeva alla
condizione di fluidità paludosa e impastoiata dei poteri locali, estremamente
liquidi e sempre guerreggianti fra loro. Così oggi in Europa, al potere centrale
della Confederazione europea, saldamente consolidato su un consenso sempre
“discusso e ridiscusso”, si contrappongono le realtà locali in continua
ebollizione ribelle e di sbandamento da una parte o dall'altra. I cittadini di
oggi avvertono come lontanissimo e quasi inesistente il potere centrale europeo,
mentre sono pienamente sottoposti ai chiari di luna dei poteri locali, che si
guerreggiano aspramente fra loro, dichiarando di schierarsi un po' a favore e un
po' contrari all'immobilismo del potere centrale. Questa intuizione di attualità
metaforica delle due epoche storiche così distanti e così simili fra loro – ci
passa in mezzo un intero millennio in cui prima si formarono, poi si affermarono
e quindi si affievolirono le monarchie nazionali e la formazione degli stati
europei – è già una delle indicazioni più felici e meglio pertinenti della
creatività poetica di Rossano Onano in termini nietzschiani dell'eterno ritorno
del sempre uguale. Ma c'è ben di più: c'è il gossip asfissiante e morboso del
XXI secolo che nell'XI secolo aveva lo stesso riscontro nella curiosità
divorante e assetata di notizie e di sangue riguardante ciò che facevano i
castellani, e gli abati, e le streghe, e i giovani amanti, e le monache viziose,
e i crudeli capitani di ventura, le tenebrose violenze carnali, le sdolcinatezze
amorose, gli efferati delitti sui fanciulli, tutto era oggetto di notizia per
cantastorie, da cui nasceva una voce folcloristica, successivamente elaborata in
mito, canonizzata nelle forme aforistiche del proverbio, elaborata nella densità
culturale del poema cavalleresco, magari in secoli successivi.
C'è forse una
differenza tra la stucchevolissima e tragica storia di lenzuola e di morte
violenta della principessa Diana uccisa nel 1997, e l'altrettanto
stucchevolisssima storia di lenzuola della castellana Ivalda, amata e trucidata
da Ezzelino nel 1250? Già vedere questa attinenza e conversione di rette
parallele è il pregio di quell'occhio poetico che a Rossano Onano certo non
manca. Ma si aggiunga il tocco veramente superlativo di ricorrere all'ottonario,
il verso che sorge quasi dal nulla esattamente circa ottocento anni or sono con
Giacomo da Lentini e che poi attraversa, appiccicoso e sonorizzante, tutti i
settecento anni della letteratura italiana per arrivare fino alla splendida
poesia Ultima preghiera di Giorgio Caproni. L'ottonario è un verso
memorabile e memorizzabile in modo unico, che può rivestire la più alta
tradizione metafisica e chiesastica come in Alessandro Manzoni in La
resurrezione degli Inni Sacri, ma che si presta anche gioiosamente
alle ballate e alle canzoni, celebre il caso di Lorenzo de' Medici, nel
Trionfo di Bacco e Arianna.. Anche Jacopone da Todi, Gabriello Chiabrera,
Pietro Metastasio, Giuseppe Parini, Vincenzo Monti, Giosue Carducci, Giovanni
Pascoli hanno consegnato alla letteratura italiana capolavori poetici scritti in
ottonari. In tempi moderni, l'anima sostanzialmente popolare dell'ottonario,
armonico nelle rime, nell'accentazione, nella dizione breve, ha confinato questo
verso nella produzione per l'infanzia con esempi eccellenti in Gianni Rodari in
Il libro degli errori e nell'attore e scrittore Sergio Tofano, con Il
Signor Bonaventura, sul Corriere dei Piccoli.
Rossano Onano ha il
grande merito di riprendere con destrezza e modernità, avvalendosi di un
linguaggio poetico di concezione e di espressività contemporanea, una grande
tradizione della letteratura italiana, che servì quasi sempre a raccontare
un'epica minore, di mezze figure, di eroi confinanti più con il vizio che con la
virtù, un'umanità sognatrice, ma anche faccendiera, con vocazione da esteta e
cultrice della bellezza e dell'eros, ma anche con cadute nel pacchiano per non
dire del truculento. Ciò che è un merito di grande importanza in Rossano Onano è
la scrittura di queste radiose e luminose pagine di poesia, così pregne di vita
e di stupore divertito per l'insulsaggine umana, sovente drammatica se non
tragica, dando così a vedere che la buona e l'alta poesia può veramente essere
ancora impiegata per raccontare la storia degli uomini, per scrivere l'epica,
per trasformare in sogno metaforico e metamorfico la gretta e livida realtà
minimalista del quotidiano. Il canto dei castelli che ci consegna Onano sembra
nascere, per la modernità del linguaggio, dall'invenzione rap dei cantastorie
moderni, ma porta dentro di sé una memoria millenaria di avventura della vita
comune degli uomini, sempre sottoposta al libero arbitrio dei signori che si
prendevano gioco dei popolani, tra il Castello e il Monastero, e che tuttora
infinocchiano gli inermi cittadini del ventunesimo secolo, avvelenati dalle
immagini dei televisori e dei computer.
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