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È uscita a
Settembre 2003 una nuova pubblicazione in versi del poeta Filippo Giordano di
Mistretta, Scorcia ri limuni scamusciata (buccia appassita di limone), in
dialetto siciliano, con prefazione di Giuseppe Cavarra, il quale osserva che il
libro è costituito da “tredici liriche in tutto, sorrette da una volontà
pertinace di denunciare le disgregazioni e le diaspore seguite allo
sgretolamento delle radici etno-antropologiche legate ad una cultura, quella
agropastorale, annientata dalla cultura di massa”. Cavarra si richiama a Tessa,
Pierro, Marin, Baldini e Loi per suffragare l’affermazione che la poesia in
dialetto “può andare molto al di là della ricostruzione della realtà in cui
affondare storicamente le radici” del poeta ed esplorare una ricerca “in bilico
tra accettazione rassegnata delle ragioni non sempre accettabili che stanno alla
base del vivere e ribellione alle spietate leggi della storia”. Se Cavarra ha
ragione – e chi scrive non se la sente di dire che abbia torto – significa che
alla poesia in dialetto, e nel caso specifico alla buccia appassita di limone di
Giordano, va riconosciuta una valenza non solo letteraria, ma anche civile ed
etica o quanto meno una potenzialità forte di incisione sulla coscienza e sulla
consapevolezza maturata dall’intellettuale circa gli effetti trasformativi
dell’erosione storica. Di Filippo Giordano come apprezzato e rappresentativo
poeta in lingua ci siamo già occupati in Vernice n. 26, ove si diede
notizia della sua antologia d’autore Rami di Scirocco.
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Recensione |
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