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Se dovesse
scegliere un motto da inserire in esergo nel
festone di un fantasioso stemma araldico Emerico Giachery confida che
adotterebbe Le vent se lève, il faut tenter de vivre. Lo
scrive nel suo ultimo libro, Voci del
tempo ritrovato, uscito all'inizio dello scorso anno,
quando lo studioso e critico letterario romano raggiunge il prestigioso
traguardo degli ottanta anni.
L'omaggio a Marcel Proust e pin che evidente, non
solo nella ripresa, seppure in tono di modesta devozione, dell'ultimo libro
della Recherche il cui titolo e apertamente evocato, ma più di tutto
nell'assunto fondamentale proustiano che sostiene come l'unica vittoria
possibile sul tempo sia quella che offre la letteratura. Solo la letteratura
rappresenta l'unica soglia di verità conclusiva della vita a cui l'uomo possa
accedere. Per meglio dire, solo la letteratura permette di parzialmente ovviare
al carattere di insanabile impermanenza della vita umana, e ne corregge il
flusso irreversibile di fiume dolce destinato a "insalarsi" nel mare — con
memoria dantesca della citazione riferita al Tevere.
La letteratura svolge una
funzione memoriale, che permette all'uomo di muoversi in avanti e indietro nel
tempo, in una dimensione di liquidità in cui il tempo è sconfitto, tra presente
e passato che si fondono insieme e, forse, almeno di qualche poco partecipa alla
comunione anche il futuro. La letteratura, dunque, è inventata dall'uomo "per
più vedere" — altra lettura dantesca, riferita questa volta a Piccarda. Se
letteratura come vita è la formula di Proust, quella di Giachery, come tutti i
poeti italiani (e non solo italiani) sanno, è letteratura come amicizia. Come
dire che nella mente di Giachery trionfa un'endiadi: vita & amicizia, che non
è
neanche male, anche perché è alla base del dolce stil novo (Guido i' vorrei che tu Lapo ed io, tanto per citare Dante al cubo). Dunque, tout se tient, per cui
possiamo descrivere il "peripato" omnicomprensivo di Giachery: di nobilissima
origine latina e di principesco animo romano — tale che non disdegna le taverne
trasteverine — ha più volte sciacquato i panni sulle ripe dell'Arno ove pose i
suoi passi il Fiorentino, per infine compiacersi delle mollezze evocative sulla
rive gauche della Senna, nel clima possibilista e relativistico del
decadentismo proustiano. E tutto ciò senza dimenticare d'Annunzio. Già, quel
tal pescarese, cosi paesaggisticamente affine — valga per chi ha in mente le
teorie di Dietro il paesaggio — a Ovidio e alle sue arti amatorie nonché ai
sospiri di tristezza sulle sponde del Mar Nero! Si diceva d'Annunzio, per
l'appunto! Il quale teorizzava che la vita è arte, ma che molto più facilmente
riusciva a vivere esattamente il contrario: cioè, viveva l'arte come se fosse
vita, come se fosse l'espressione più intensa del vivere, il distillato più
puro, una zolletta di zucchero imbevuta d'alcol, un dolce fumo, un'esalazione
vertiginosa. Esattamente così ci pare sia Giachery che vive la letteratura come
l'espressione più alta e più comprensiva di umani significati, spinta fino alle
soglie della trascendenza. Ma non tutta la letteratura. Solo quella che ogni
umana mente può ricordare e può rielaborare: non e forse questa una nobilissima
accettazione della nostra soglia di piccolezza e di limitazione? Solo dentro di
noi, dunque, c'è il
limite all'infinito ricordo e quindi alla vita infinita e alla sapienza
totalmente luminosa. Così resta il mistero, che sempre ci tormenta: esiste
davvero l'infinito oppure e solo una nostra incapacità il saperlo contenere?
Libro stupendo, Voci del tempo ritrovato non deve mancare sulla scrivania di
ogni poeta dell'attualità, non solo perché è una fonte sterminata di
informazioni e di indicazioni di buon gusto letterario. Passi pure questo
aspetto, da accademico dei lincei, che tuttavia già basterebbe a provocare
estasi e deliqui in tante professoresse liceali, specie la ove si parla di
Carducci, Pascoli, Ungaretti, Quasimodo, Montale e di tant'altri esponenti della
premiata forneria poetica italiana, con grande dovizia di particolari e con
naturale familiarità di frequentazione. Ma la suprema bellezza del libro sta
tutta nelle accennate e corsare "paginette" finali, ove si raccolgono gli apici
della ricerca plurimillenaria di tutta la cultura europea e si rielaborano in
metafora le categorie dell'oceano, laboratorio biologico di vita e di morte;
del lago, occhio di osservazione aperto nel ventre della Terra da cui i morti
osservano i vivi e viceversa; del fiume, scorrere della storia e del tempo,
inesorabile e irreversibile.
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Recensione |
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