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Protagonista della silloge è il poeta. La Tognacci lo interroga e attraverso un
discorso indiretto e la panoramica della situazione attuale nella quale s’aggira insoddisfatta e nostalgica la poesia, ne trasmette ai lettori lamenti e
rimpianti e il desiderio di tornare all’ “antico” per riportare in auge il
canto, ora in agonia. «Dall’utero del tempo, | note di lira riecheggiano |
nell’universale armonia», così come la bassa marea fa emergere antichi tesori
che provengono dai fondali.
Che cosa
rimpiange il poeta? La semplicità e autenticità degli uomini d’una volta che
non avevano pretese e s’accontentavano del poco che possedevano, dei tempi in
cui le famiglie erano unite, si aiutavano e scambiavano favori reciproci,
lavoravano sodo, senza lamentarsi,e si nutrivano di cibi sani, quando tra
genitori e figli c’era dialogo e rispetto. Che cosa rattrista tanto l’anima
del poeta? La superficialità e la violenza che dominano sovrane tra la gente
dell’era contemporanea, la discriminazione e la mancanza di umanità, l’insensibilità, il vuoto e la solitudine che ognuno di noi si porta dentro, l’assenza di stimoli interiori per uscire dalla noia e da stagnanti abitudini che
annullano voli verso l’infinito. Egli deve reagire, andare “oltre”, “valicare i
monti”, spingersi verso l’assoluto, cercare l’originaria bellezza delle cose
nella natura.
Che cosa a
lui manca? «La potenza germinale dell’amore | nella scia travagliata dei
giorni». L’amore! «Antico fiume | che scorre con acque feconde | … Vino che
invade avide vene | e con i passi della primavera avanza». Quale l’appello del
poeta per rialzarsi, per rimediare, tornare ad attingere nel proprio intus e
riportare in vita la poesia?
Riaccendere l’amore sopito, ri-tuffarsi nella natura, riesumare e far rivivere
il mito di Orfeo. Basterà ascoltare la voce del cuore e dell’anima e il
“miracolo” si avvererà.
Perché
tutto si rinnova, tutto risorge, nello stesso modo in cui si verifica l’avvicendarsi periodico, ininterrotto delle stagioni e il germogliare e rifiorire
della piante in primavera.
Eloquente,
oltre che significativo, il titolo della raccolta poetica. «Ho cercato di
riportare il mito di Orfeo alla sensibilità moderna» afferma la Poetessa. Orfeo,
figlio della musa dalla bella voce Calliope, mitico cantore e citareo della
Tracia, ammansiva col suo canto le belve e le genti rozze della Tracia e faceva
scendere dai monti le pietre e gli alberi della foresta. Quando la sua sposa
Euridice morì, decise di andarla a riprendere nell’Ade e vi riuscì (anche se
poi la perse di nuovo) perché, ovunque passava, ammaliava tutti col suo canto e
il suono della cetra. Quale il messaggio dell’autrice? Spogliarsi dell’effimero e del superficiale, liberarsi dei rumori
assordanti e tornare nell’oasi e nella pace della natura. Rigenerati nel fisico
e nello spirito, riascolteremo il canto di Orfeo e di nuovo Erato ci prenderà
per mano e ci guiderà lungo i sentieri fioriti di fata Poesia.
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Recensione |
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