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Ferruccio Gemmellaro si può associare ad Andrea Camilleri per
il fatto che entrambi usano esprimersi in lingua propria intercalata da
termini dialettali. I contenuti, però, ed anche lo stile, non sono gli stessi. Il
romanzo di Gemmellaro è ambientato in epoche lontane, non proprio tanto, ma
abbastanza per differenziarle, sotto molteplici aspetti, dai tempi attuali... Diversi
l'ambiente, gli usi, la mentalità della gente, i comportamenti, i gusti... Siamo nel secolo sedicesimo, in un
mondo che potremmo definire agli antipodi da quello contemporaneo, per l'emancipazione,
lo sviluppo
della tecnica e dei mezzi di comunicazione, il modo di vivere, i comfort, la
civiltà in genere. Se, per caso o per magia, capitasse
tra noi una persona di quei tempi, proverebbe lo stesso
sconvolgente stupore della "Niobe piangente". Ammirevole il bagaglio
di conoscenze storiche e dei costumi dell' epoca da parte dell'autore, una mole di
informazioni, di notizie attendibili che si rinvengono nei sommari di storia e degli episodi e dei
fatterelli che si consumavano dietro le quinte e che i testi ufficiali non
riportano. Abile il Gemmellaro nel condurre, con la massima
scorrevolezza, la narrazione storica e le avventure dei protagonisti: le parti
s'integrano perfettamente, senza stridere, come i tasselli di un mosaico. Gli
argomenti, fatti di sotterfugi, tradimenti, soiprese, complotti, incontri fortuiti, fanno pensare ai
romanzi di Dumas, a scrittori veristi e naturalisti di qualche
secolo fa e, perché no? al Decamerone. Essi coinvolgono e interessano
più gli studiosi di una certa età che i giovani moderni. Questi
amano leggere i best-seller di moda, i polizieschi di autori americani e
immergersi nella visione dei film dell'horror di Dario
Argento. La vicenda della Mercenaria è intrigata, ricca di colpi
di scena, desta suspense dall'inizio alla fine. I personaggi sono arrivisti e
ambigui, poco seri e senza scrupoli, come quella Bianca – prima donna protagonista
– che usciva di notte,
complice una sguattera, per rientrare all'alba. E non era la sola. Allora si
era costretti ad usare certi sotterfugi perché i metodi educativi
erano rigidi; oggi i giovani agiscono alla luce del giorno, con trasparenza,
non nascondono nulla, perché sono liberi. Sorprende
il fatto che i protagonisti realizzino ognuno i loro scopi, di
solito loschi, e proprio quando sembra tutto compiuto positivamente, avviene
l'imprevisto: ti colpisce la morte, violenta, truce. Strano! Giusta punizione del fato? Tante le coincidenze, proprie,
naturalmente, di un racconto non del tutto reale. In ultimo
Alvine, nipote di Bianca, torna a Meolo, paese natio della nonna, e va nel
castello dei Cappello, suoi parenti che nulla sanno di lei e
la scambiano per una elegante e bella parigina; lo osserva con commozione, si
trattiene poco; e poi scompare all'insaputa di tutti.
Dove andrà? L' autore non lo dice, non soddisfa la curiosità
dei lettori: "Madama Alvine Gassier s'era dissipata e nessuno la
rivide, mai piu... Al suo posto, sventolavano i nastrini sottogola
di un cappellino... ".
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Recensione |
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