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“Racconti
dal vero”.
Anche se la maggioranza di essi riporta
eventi reali
possibili, non tutti sono tali, non tutti rientrano
in questa categoria.
Spesso ci si imbatte in episodi che fanno
pensare a storie di
autosuggestione, paura, incubi, anche fantasia.
L’Autrice ha una
mente critica, riflessiva, scientifica. Le
basta un piccolo
indizio per mettersi in moto, psicologicamente,
e ripescare nella
memoria fatti lontani che si associano ad avvenimenti
presenti, e
viceversa. È un po’ come la “Madeleine”
delle “Intermittenze
del cuore”
di Proust. Il suo è un lavorio intenso
che si svolge tutto
nel microcosmo, un dialogare con se
stessa, col suo
“io”, con la sua personalità sdoppiata, e un approdare
infine a conclusioni
che la soddisfano, che le mostrano i
fatti nella loro
trasparenza. Racconti brevi, sospesi, senza un
inizio né una fine;
pezzi di vita colti osservando per caso qua e
là, per strada, in
campagna, tra la gente o in solitudine; stralci
che hanno un filo
che li accomuna: “credenze”
o meglio superstizioni
che una volta (non
molto tempo addietro) erano diffuse
tra la gente del
volgo non solo, anche tra persone colte. Ma tali
convinzioni - per me
“coincidenze”-
sono state veramente superate?
Non del tutto.
Persistono più tra alcuni giovani che tra persone
attempate. Vi sono
taluni, tra i primi, che hanno paura di
dormire da soli in
casa perché la vedono invasa da fantasmi e
forze negative, che
credono al potere malefico delle streghe, al
paranormale, ai
fenomeni fantascientifici; essi si spaventano per
piccoli rumori,
normali, ombre magari viste nell’immaginazione,
spiriti che tornano
dall’Aldilà... L’Autrice, attraverso i suoi racconti,
riporta alla luce,
così, come di passaggio, senza eccessivo
interesse ma
mostrando di crederci, diverse superstizioni. Così
in “Il
ragno”: “Tanti,
tanti anni addietro una vecchia doveva
avergli raccontato di un insetto che inquietava
le memorie di un
paese... Dopo neanche un’ora (che aveva visto il
ragno) seppe
della scomparsa di Marisa”.
In “Una casa come tante”
c’è un
uomo che vedeva in
uno specchio un forellino “grande come
una bacca di ginepro”.
Ad una ad una fece murare tutte le stanze
e poi si trasferì in
un albergo... La sua ex moglie, che voleva
rilevare la casa...,
morì sotto un treno. In “Il negozio
delle stoffe”,
la venditrice
racconta degli “scricchiolii”:
“... Alla mia amica
cominciavano a parlare il legno o i tarli...
Fatto sta che ella,
dopo qualche giorno, non c’era più, era morta”.
Ma quante
coincidenze! Morte
dopo l’apparizione del ragno, morte dopo il
forellino, morte
dopo lo scricchiolio. Eppure... Eppure pare trattarsi
di fenomeni normali
che non dovrebbero impressionare.
Ma l’uomo è nato con
la paura nell’inconscio e nella coscienza
e non riuscirà mai a
liberarsene. Ciò giustifica anche il suo ricorso
alle religioni: la
paura del “post mortem” e dell’enigma
del mistero della
vita che lo sconvolgono. I personaggi delineati
sono esseri che
soffrono, infelici, depressi. Interessante il primo
racconto, “Decollo”.
In esso è narrata la storia del patologo che
comunica solo “per
stimoli verbali scritti”.
“Mentre un anno fa
si cercò di disancorarlo dalla figura dell’amico
immaginario,
seguendo i canoni consolidati della psichiatria,
ora, alla luce
degli ultimi eventi clinici, lo scopo terapeutico
consiste nel far
riaffiorare in lui il ricordo dell’amico
immaginario, unico ponte
percettivo verso la dimensione umana della realtà”.
Il turista
che è sull’aereo,
che cerca l’amico, è il malato. Quale il significato?
Il metodo adottato
dalla moderna psichiatria, in antitesi a
quello superato
della vecchia scienza, sta avendo effetti positivi.
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Recensione |
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