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Un esempio di come la poesia più genuina
apre alla vita e rilancia la vera cultura
Una serata decisamente felice di
grande cultura, mixata tra poesia, recitazione, critica e musica, in una
prospettiva multidisciplinare, offerta all’attenzione di un pubblico raffinato e
quanto mai partecipe, che ha letteralmente gremito la sala Paladin di Palazzo
Moroni. Protagonista in assoluto è stata Raffaella Bettiol, che, come autrice
della sua ultima raccolta, Ipotesi d’amore, si è definitivamente imposta,
se ancora ce ne fosse stato bisogno, come una delle poetesse più raffinate e
profonde del nostro tempo, grazie alla sua cultura di livello superiore, ma
soprattutto alla sua raffinata capacità di filtrare i motivi ispiratori della
sua arte nell’intimità del suo animo, dove la meditazione e la riflessione
agiscono in profondità nel suo inconscio, per emergere con uno stile
inconfondibile, caratterizzato da una splendida purezza espositiva e da una
straordinaria padronanza dell’uso della parola rivelatrice, con la presentazione
di composizioni brevi e sintetiche, che si rivelano però di grosso spessore
contenutistico.
Elementi, questi, che sono
stati sottolineati nella convinta presentazione della nostra presidente, Luisa
Scimemi di San Bonifacio, che, con le sue note e conosciute preparazione e
professionalità, ha “intervistato” Raffaella invitandola ad approfondire gli
argomenti della sua ultima produzione, che spaziano dai ricordi familiari ai
colloqui con se stessa, con la sua intimità, ma anche con gli amici da lei
frequentati e con i luoghi da lei visitati, dalla ricerca religiosa all’”eterno
femminino”, che rivive in delicatissime liriche dedicate ad alcune grandi figure
antiche e moderne, Antigone, Medea, Cassandra, Marilyn, tutte simboli di
particolari sfaccettature del mondo femminile. In questo senso colpisce in
particolare la capacità di Raffaella non solo di cogliere l’essenza dei singoli
personaggi e le complesse problematiche che li caratterizzano, ma anche di
trasmetterle al lettore in modo suadente e deciso, pienamente coinvolgente e
partecipativo.
Del resto queste note sono
state messe in rilievo anche dai due critici chiamati a commentare la poetica di
Raffaella: ha cominciato Isabella Panfido, che ha evidenziato come l’autrice
basi, appunto, la sua poesia sull’amore, in una prospettiva secondo cui
l’idea diventa realtà, in primo luogo grazie al fatto che Raffaella “ama”
intensamente la poesia, in particolare quella classica, colta “finalmente” al di
là delle sperimentazioni sterili di un passato anche recente, in una prospettiva
per cui tutto il libro, tranne qualche rara eccezione, è impostato e condotto al
presente.
Da parte sua Luciano Nanni
nella sua disamina ha centrato la sua attenzione sulla decantazione della
parola, sull’eccezionale “varietas” del lessico, che per molti aspetti fa
rivivere la memoria e la tecnica raffinatissima de “Il giardino dei
Finzi-Contini” di Giorgio Bassani soprattutto per la totale purezza cristallina
della sua espressione; ma Raffaella brilla soprattutto di luce propria, nel
senso che la sua introspezione interiore la porta a proporre sempre una sofferta
e vissuta ricerca del rapporto spazio-tempo dalla quale emerge la sua vera
ricerca esistenziale: la relazione tra il suo essere individuale e l’eterno, e
in questo senso si può parlare di un deciso passo in avanti nell’ambito della
poesia creativa.
Le
indicazioni dei due critici sono state confermate per l’attento pubblico dalla
recitazione a due voci della stessa Raffaella che si è alternata con la bravura
di Filippo Crispo nella lettura di un’ampia silloge della raccolta, il tutto
intervallato dalla deliziosa musica di Enrica Omizzolo e Elio Peruzzi, che hanno
presentato con la consueta perizia alcuni brani musicali che si sono armonizzati
ottimamente con la parte poetica, rendendo così ancora più suggestiva e
convincente una serata già di per sé splendida.
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Recensione |
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