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Prefazione a
Nel profondo alto
di Mariateresa Giani
la
Scheda del libro

Giuliano Ladolfi
L'aggettivo "altus"
in latino possiede un'accezione più estesa rispetto all'italiano "alto"; non
indica, infatti, solamente l'elevazione verso un punto superiore, ma
comprende anche il concetto di "profondo", che nel nostro idioma viene
ripreso in espressioni come "alto mare". Il titolo della raccolta di
Mariateresa Giani da una parte riprende il significato etimologico del
vocabolo, perché la poetessa comprende nell'ambito della ricerca poetica il luziano «nadir e zenit della significazione», dall'altra intende
sottolineare che l'immersione in ciascuna dimensione e totale e
coinvolgente.
E proprio in
tale ampia complessità va individuata la meravigliosa grazia di questa
poesia, capace di abbracciare l'intera estensione del reale attraverso la cusiana
coincidentia oppositorum. La totalità della realtà, che il pensiero
scientifico e filosofico scindono, viene colta in una «inestricabile sintesi
di pensiero e materia», premessa da cui la Giani libra la fantasia
creatrice prescindendo
completamente dal dualismo platonico e cartesiano, immergendosi nella totalità dell'esistente e restituendo un miracolo di conoscenza poetica.
L'impresa non è
facile, la lotta con una parola segnata da duemilacinquecento anni di
tradizione dualistica richiede novità di soluzioni e di significati; per
questo la poetessa mette in gioco la potenza di una fantasia capace di
delineare con tratto forte la novità semantica di vocaboli come «corpo»,
«pensiero», «anima»: «il corpo [...] / [...] / quell'alto vertiginoso preme,
coagulo / magnetico, inesauribile essenza, / per essere consacrato al
pensiero, / effuso luci ed ombre nel canto». La forza di questi versi deriva
dall'energia con cui sa affrontare "di petto" la concretezza
dell'ispirazione mettendo in atto tutte le risorse poetiche, quali
allitterazioni, ritmi, metafore, sineddochi..., senza trincerarsi dietro il
concetto romantico di "ineffabile" che giustifica ogni manifestazione, da
quella sublime a quella aberrante. Nella Giani la parola è bruciante,
corposamente rappresentativa, dinamica, si evolve all'interno della
concretezza «per gli sbocchi / profusi tra i monti di un cielo roccioso / di
piombo». Essenzialità e rigore confermano eleganza stilistica, nobiltà
etica ed estetica di chi ricerca il contatto tra la parola e la realtà,
concetto quest'ultimo da intendersi in senso "esteso".
"Il profondo
alto" va ricercato, pertanto, in una "cosalità" che non sfugge alla
responsabilità del "dire" e del "dire in pienezza", alla responsabilità di
conoscere in anticipo che ogni soluzione comporterà quel nodo di "ironia"
kantiana che evidenzierà l'abisso tra percezione e realizzazione cheogni scrittore
avverte nel momento cui
confronta il magma interiore con la realizzazione dell'opera. Ma la
scrittrice preme su un "basso continuo" ovvero sull'adozione di parole
"chiare e forti" (il profondo), come «aggricciando», «encefali»,
«particola». Si immerge nella materia proprio per puntare sul mondo senza
infingimenti: «ravviva la pioggia empatia viscerale / tra terra e cielo».
Come il pensiero nei confronti della materia, così la pioggia non è solo
elemento di fecondazione, ma sostanza, "coessenza", concetto che va
rintracciato anche stilisticamente nell'unione di due parole («provoca-invoca»,
«segni-sensi», «cappello-testa»). Qui ogni elemento sostanziando l'altro
diviene una realtà completamente diversa come l'idrogeno e l'ossigeno nella
produzione dell'acqua. Alla base di questa "trans-formazione" si colloca un
impulso vitale (il bergsoniano élan vital) che, inafferrabile alla vista
comune, «intacca la cornea / del profeta e del santo». L'incessante
divenire, pertanto, come in Mario Luzi, può essere recepito solo dall'arte,
dalla poesia. «Questa forma di suprema conoscenza si invera non per mezzo di
concetti, ma in un "oggetto" che può essere il marmo, la parola, il colore,
il suono, la fotografia, la ripresa cinematografica ecc. La filosofia, come
la scienza, servendosi della razionalità, de-finisce la realtà, le dà
forma, la pone in ordine, la cataloga, la anatomizza, la viviseziona;
l'arte, invece, è conoscenza di realtà informale, indefinita, non caotica però, molteplice, complessa, multiforme, contraddittoria, in divenire. L'artista,
pertanto, non è un filosofo, che organizza il suo pensiero secondo i princìpi
di non contraddizione, di coerenza e
di consequenzialità e neppure produce in modo ineffabile (e, quindi,
inattuabile), quasi fosse ispirato da una divinità, come pensavano gli
antichi. Il processo di conoscenza artistica presenta tali e tante
interconnessioni che è veramente arduo solo pensare di descrivere precise
procedure, perché è il risultato della partecipazione dell'intero essere
umano in tutte le sue componenti: fisiche (l'azione del ποιείυ), mentali,
percettive, emotive, sentimentali, consce, inconsce, progettuali,
memoriali, individuali e collettive (l'uomo e storia), per cui ogni
definizione esclude parti consistenti di questo processo» (Giuliano
Ladolfi). E la poesia può
compiere il miracolo: «Si squarcia l'opaco duro volto del reale / ed affiora
il crinale dove l'anima crea / fondendo il corpo del mondo», per questo
ogni «nascita è vocazione e resa alla materia, / un magma travolgente, o
glaciazione, / che lo splendore oscura, addensa e trae / a morte nell'imo
inconscio dell'Anima», quell'anima mundi, che è e trascende la materia.
Da qui la
percezione della "vita", altro vocabolo che richiede una precisazione
semantica: per "vita" la Giani non intende solo l'esistente concepito come
"essere", ma heideggerianamente la intende come "ente", rintracciato
«da
cercatore instabile» (homo quaerens), che ha «convertito / il profondo in
un'altura ariosa, l'ottuso / dolore della terra in gloria di creatura» e che
«trabocca di colori». L'ente in questa visione si presenta nelle sue
caratteristiche storiche e, come in Mario Luzi e in Pier Luigi Bacchini,
assume le caratteristiche di "durata" e di attuazione ossia come svolgimento
di un "progetto" già presente nel
momento iniziale: «[...] Ma quale lotta / nel soggiogare all'ordine e al
proposito / il violento universo dell'immaginazione materiale, / fagocitato
da sostanze prime e impresso / / di forze che si combattono, si fondono
stridendo, / si frangono, resistono». In questi passi la poesia acquista un
afflato cosmico che ricorda per l'intensità folgorante delle immagini la
nascita lucreziana del mondo. E allora il "solitario viaggio" dell'universo
assume le sembianze emblematiche di una ricerca comune a tutti gli uomini
del nostro tempo lungo i sentieri dell'ente, il quale nel divenire della
materia biologica raggiunge la completezza nella storia umana. A questo punto
si rende necessario prendere in considerazione l'altra accezione del
vocabolo "alto", quello che s'innalza verticalmente con un'impronta di luce,
dove «il flusso libero è possibile» verso un'«intensa presenza di Dio». E
allora la poetessa ritrova quest'orma misteriosa nel libro della storia e
della natura, "unico" testo di una realtà percepita nel suo risultato:
«e
sprigiona dal proprio involucro / trasfigurato interiorità e abbondanza di
vita». La percezione dell'unità dell'esistente produce quello stupore e
quella meraviglia che coglie l'essere umano di fronte al mistero, la quale
altro non è che la percezione del "sublime" kantiano attraverso il
silenzio, «archetipo del raccoglimento», «ala di grazia», che si rivela «a
chi in vigilanza / l'attende, e assente e s'abbandona / all'impalpabile che
sfiorando seduce / da un cono di luce, annuncia / un'innocente discendenza
che salva ». E il risultato del processo storico-evolutivo va rintracciato
nella «spudorata nudità del mondo»,
dalla Giani tradotta in paesaggi "in rilievo", in cui spessore e profondità
si uniscono in armonia e in cui le tensioni dei particolari si acquietano
in una specie di "sezione aurea" in grado di organizzare linee orizzontali e
verticali che conferiscono tensione palpitante («l'intimo paesaggio d'ombre
erose») e intelligibilità al pensiero poetante. Ogni
riflessione sull'ente, tuttavia, non può, prescindere dalla costatazione
del limite, che assume il nome di "male" e di "dolore", problema affrontato
con accenti realistici e coinvolgenti: «E quando il dolore crudelmente
incombe, / vale solo offrirgli sangue e membra». La complessità del reale
nella Giani si oppone ad ogni interpretazione manicheistica. Eppure, alla
fine, nonostante la presenza nel mondo di «rovi graffianti», «ceppi /
solcati da remote carie e guaine / spinose di steli», come il curato di
campagna di Georges Bernanos, la poetessa pare esclamare «Tutto e grazia»:
[...J
Umilmente,
le abbraccia il
dolore, deponendole
nel focolare e,
investito dalla fiamma,
ciò che era storto, maligno e vile
lentamente
consuma e trasmuta in
lume.
Ci troviamo,
pertanto; di fronte ad una poesia "drammaticamente-pacificamente"
religiosa, mai mistica o estranea alla realtà, sempre storicamente ed
"enticamente" "incosata", simbolica nel significato etimologico del termine
(συμβάλλειυ = mettere insieme), secondo cui ciò che appare sotto i nostri sensi non
è
che una parte che evoca l'altra, quella più importante, quella che significa, che dà
senso a quella che vediamo. E la poesia compie il miracolo di unire le due
parti della tessera che la speculazione occidentale ha fatalmente spezzato.
Una simile visione di vita, di conseguenza, si trasforma in preghiera,
secondo la felice intuizione di Ludwig Wittgenstein: «Credere in Dio vuol
dire comprendere la questione del senso della vita. Credere in Dio vuol
dire vedere che i fatti del mondo non sono poi tutto. Credere in Dio vuol
dire vedere che la vita ha un senso. Il senso della vita, cioè il senso del
mondo, si può chiamare Dio. Pregare e pensare al senso della vita». Qui sta «la
faglia tra l'intelletto che scala / l'Assoluto [...] e l'altra sponda di
sapido mistero», dove giunge "sconcatenando" il tempo «con la corrente, che
come per un salto / da un'icona di fede ricade / battesimale nell'animo e lo
sommerge» e dove lo Spirito alita la vita nell'universo. La raccolta,
pertanto, si chiude con un annuncio di resurrezione, come preconizzato
nella Pasqua, per il fatto che i paesaggi e le stagioni ricapitolano la
vicenda storica della materia dal Big Bang alla contemporaneità. La
linearità di un simile processo si rispecchia nella circolarità dell'anno,
perché all'infinito, come sosteneva Niccolò Cusano, centro e circonferenza
coincidono. Ogni anno, pertanto, è celebrazione, e rito dell'unico viaggio
temporale del reale.
Come Bartolo
Cattafi, la poetessa lombarda proclama:
Un raggio di
predilezione che fende
dell'uomo il sepolcrale buio è la grazia
di poter
ribaltare il granito interiore
e aggredire il
cadaverico immobilismo
dell'anima,
trasformando l'oltraggio
del dolore, il
placentare velario
in un risveglio
glorioso, una resurrezione
secondaria.
La Pasqua, quindi, non è solo rievocazione storica, ma anche celebrazione di
vita, non e solo rito liturgico, ma raffigurazione di una vicenda connaturata in
ogni ente, perché il volo della bellezza la "cerchia" «con liturgica / grafica
eleganza, come anelli nunziali / tra terra e cielo», «seme, che lavora al
cospicuo floreale / talento», in cui «la speranza nell'animo umano è
lievito / che agglutinando materia e riflessione / [...] dà sostanza a un
destino superiore, / ne asperge la consistenza come di pasta / di pane
benedetto da custodire, / con crosta fragrante d'opere caste».
E con questo
messaggio "civile" si conclude una raccolta che ad ogni lettura presenta
aspetti sempre nuovi ed avvincenti, che rivela l'essere nel suo luminoso
nascondersi, perché la parte autentica del reale va scoperta con gli occhi
del poeta.
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