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Difficile oggi parlare di impegno civile nella letteratura del novecento
italiano e ancora più arduo è ragionare proprio di poesia: “si sospetta che il
nostro tempo non sia, dice De Mauro nella prefazione, propizio alla poesia”. Ma
Ludovico Fulci, di grande esperienza scolastica, è avvezzo a queste tematiche e
conduce per mano il lettore per questo spinoso sentiero in un saggio dal
significativo titolo Ethos e Mythos, poesia e impegno civile nel novecento
italiano che si avvale della prestigiosa
prefazione dello studioso Tullio De Mauro.
Il libro
– peraltro di scorrevole e piacevole lettura e questo è il primo pregio
– si rivolge ai giovani ed ha l’ambizione di spingerli a ragionare di poesia con
amici, parenti e professori. Ma quando si può parlare di poesia civile? Quando
la serietà e l’affidabilità oltre che nei confronti dell’editore, sia
innanzitutto nei confronti del pubblico, dice Fulci. L’itinerario che l’Autore
ci propone è diviso in capitoli che prendono in considerazione di volta in volta
la voce del poeta e la sua musicalità (ritmo, tono, frequenza, intensità) in
relazione anche col silenzio; l’arte, l’inganno (il poeta, per dirla con Pessoa,
è uno che inventa fino virtualmente ad ingannare deliberatamente e felicemente
con la sua arte) e l’autenticità; il senso civico capace di suscitare
disappunto, rabbia e sgomento; la logica della censura (tutto ciò che impedisce
al poeta la libera espressione della sua arte) e l’interessantissimo caso di
censura politica di Trilussa; i poeti contro la censura; l’interessante
paragrafo sui poeti che optano per il dialetto contro il vernacolo; il fenomeno
dei poeti traduttori che mettono così sotto scacco la censura; le grandi
occasioni per una testimonianza (la guerra, la pace, le persecuzioni, le
discriminazioni razziali fino all’emarginazione della condizione femminile di
cui nessuno ancora oggi parla). L’indagine sorprende per gli aspetti spesso
inconsueti e nascosti della poesia ai quali difficilmente (e questo è il secondo
pregio) si penserebbe e che l’Autore invoglia ad approfondire. Emergono
caratteristiche della poesia del Novecento definita di volta in volta lirica,
del ricordo, del maledettismo, del sogno-a-occhi-aperti, del rapporto con la
natura come principio costitutivo del senso civico: “il poeta civile non può
ignorare la natura anzi, qualunque poetica raffigurazione si dia della natura,
non si può prescindere nel proporla dai gravi fatti che si compiono nella nostra
epoca” (p. 165). L’autore presenta esempi significativi di testi accompagnati da
illuminanti commenti (terzo ed ultimo pregio): si deve ringraziarlo di avere
proposto testi quasi mai presenti in antologie scolastiche che con piacere
scopriamo o riscopriamo e che propongono visioni inusuali. Parlo dei bellissimi
testi dell’indimenticabile Angelo Maria Ripellino o di Edward Cummings o ancora
di Andrea Zanzotto e Attilio Bertolucci.
Di te non scriverò (a mia
madre)
Di te non scriverò,
io sono tutta scritta di te.
Non c’è al di là del mio margine
ombroso
Pagina chiara che ti possa
accogliere.
Elena Clementelli
in: Così
parlando onesto, Garzanti, Milano, 1977, p. 27.
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Recensione |
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