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Alberto Moravia viaggiatore in
Africa
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foto di Lorenzo Capellini |
Invitata ad iniziative su Alberto Moravia per i cento
anni dalla nascita, ho ripreso i libri di viaggio. Mi sono fermata su Lettere
dal Sahara (1981), “bello di verità”, secondo un mio cugino, missionario in
Africa: accoglie gli articoli per il
"Corriere della
Sera" dal
1975 all’anno di uscita.
Oggi l’Africa è a portata di mano di turisti,
imprenditori, onlus e soggetti della cooperazione. Usuali gli scambi politici,
gli incontri ad alti livelli. Frequenti le notizie, di orrori, che vengono dai
paesi di quel continente. Giornalieri da noi gli sbarchi di persone in fuga,
rifiutate se non respinte o accolte con la diffidenza della paura. Colorati di
superficie gli itinerari soliti e insoliti: grandi orizzonti, vacanze
comfortable separate, cordate nelle foreste, mari profondi, safari. Il
Sahara non è più misteriosa fata morgana, sconfinata di sabbia e dune:
la tv vi fa correre moto e automobili. L’ovvietà di racconti orali,
diapositive, materiale in digitale, in internet, ecc., annoiano più che svelare
latitudini un tempo irraggiungibili.
Conosciamo i popoli dell’Africa? Lettere dal Sahara
è un gradino per avvicinarli e per entrare in paesi (Costa d’Avorio, Sahara,
Kenia e Lago Rodolfo, Zaire), dentro usi, costumi, quotidianità, anima di una
natura che nessuna cinepresa amatoriale può toccare. Ancorché oggi, dopo venticinque anni, le coordinate
economiche possano avere cambiato le comunità, sviluppato abbracci (intuiti come
stravolgenti da Moravia se dovuti al turismo delle sirene consumistiche), resta
ed emana dai vari capitoli il piacere di un approccio – a popolazioni,
luoghi, spazi, comunità e loro vivere insieme – mosso dal cuore e dalla
curiosità intellettuale: colpo d’occhio e astrazione dai fatti avviano una
relazione tra soggetto-oggetto e lettore.
La sensazione dello scrittore rilascia un perché, un
come, la vicinanza a creature che vivono con lentezza il loro giorno (ma
l’accenno alle donne e alla bambine Lobi, che trasportano recipienti d’acqua
lontana, scoppia dalle tre righe in cui è concentrato), a tremende solitudini
paesaggistiche; soprattutto rilascia identità vitali, da mantenere da parte
degli europei, pena la morte, la scomparsa per invasione o assorbimento,
l’impoverimento dei bianchi stessi sempre più stretti in (e catturati da)
schemi. (Il pensiero corre al film di Pier Paolo Pasolini Appunti per
un’Orestiade africana del 1969).
Moravia, giornalista in viaggio, come già altrove (Un
mese in Urss, 1958; Un’idea dell’India, 1962; La rivoluzione
culturale in Cina, 1968; A quale tribù appartieni?, 1972), accosta
particolari, rileva l’invisibile. La danza nel villaggio, la guida che dovrebbe portare
lui e i suoi amici in un luogo e che, invece, la tira in lungo un centinaio di
chilometri per farsi accompagnare a salutare amici e parenti che non vede da un
pezzo, l’oasi come luogo privilegiato dell’immaginazione e dello spirito, gli
elefanti del Galana, il capo-villaggio padre non sempre padrone, la necessità
di arrivare a Nya Nya prima di notte, il cuore di tenebra vissuto
e molto altro: tutto diventa terreno su cui scorre la vita, diventa terra di una
vita camminata da uomini e da donne con un’immersione sì, forse, “stabilita” ma
anche scelta perché ha il ritmo del respiro corporale, non affannato, del passo
e non della corsa, della corsa eventualmente ma non della rincorsa per un
sorpasso.
Si capisce, qualora si dubitasse della storia di almeno
due secoli e più, come il colonialismo sia stato brigante, predatore, e come
abbia voluto cancellare anche per uccisione. Una finestra aperta sul passato,
magari tramite il semplice racconto delle razzie compiute nel 1888 dal
conte austro-ungarico Teleki, e sul presente.
Lettere dal Sahara
sprigiona domande nell’oggi: e il nuovo colonialismo del petrolio e dei commerci
impari? quali possibilità per i popoli dell’Africa? E le nuove identità, gli
scambi, l’esito di tentativi, tra governi di stati africani e stati europei, di
rapporti paritari? Dove siamo, africani ed europei? Si evidenzia, così, la propensione pedagogica della
prosa di Alberto Moravia: descrivere per significare e perché il lettore colga
nessi con l’attualità. Nei libri di viaggio i risultati sono più diretti
rispetto alla narrativa. Tanto è vero che, se i romanzi hanno suscitato
perplessità nei critici, la prosa dei reportages, essenziale ma con il
respiro pur controllato della partecipazione, trova unanimità di consensi.
L’indifferenza moraviana e il disgusto, infatti, riguardano la società borghese
capitalistica, non paesi dalle soglie diverse o l’Africa dei tanti risvolti,
dei mille silenzi, delle voci differenti dalle nostre ma uguali d’intensità nei
canali caldi dell’esistenza. Un’Africa che Moravia ci invita a conoscere, non
banalmente a scoprire sorvolandola.
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