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Giacomo Magagnini
un poeta dialettale tra Le Marche e Roma
Giacomo
Magagnini, o Jacopone da Jesi come si firmava, ha riunito quasi l’intera sua
produzione ne La musa paesana edito nel 1923 dalla Tipografia Flori della
sua città. Il manoscritto era stato dato nel 1912 all’amico Pietro Flori, che lo
aveva spinto a raccogliere il suo corpus poetico – allora sparso tra il
periodico "La Torre di Jesi",
le mani di amici e il cassetto. Perché siano passati dieci anni tra la
richiesta e la pubblicazione, bella e accurata, non si sa. Ristampata nel 1974
in copia anastatica, ora è qui, con il suo odore. D’antan.
Non è d’antan
il sapore dei versi di Giacomo Magagnini, che si snodano, sì, tra
personaggi e ambienti, discorsi, battute di una cerchia di conoscenti e
conoscenze di un secolo fa, nel riquadro a macchietta, a bozzetto, visti con
arguzia, sapidità, malinconia, ma rilasciano la sapienza di ogni tempo, il
sentimento di vicende innervate nell’esistenza, dunque non scadute.
In un eventuale
studio della poesia italiana in dialetto, più complessivo rispetto a quelli già
usciti e magari con questi interagente, Giacomo Magagnini potrebbe essere una
voce importante dentro una fascia situabile tra la poesia entrata nella storia
della letteratura, nei corsi universitari, e la poesia orale, quella, per
intenderci, raccolta da Pier Paolo Pasolini nel suo Canzoniere Italiano
del 1975. Potrebbe
includere, tale fascia, per esempio, l’improvvisatore pesarese Odoardo
Giansanti (Pasqualon), il cantastorie maremmano Mauro Checchi, l’urbinate dal
tono naif Fulvio (Fuffi) Santini. E il colto Magagnini, che sa di metrica e di
ritmo, che ha studiato le opere letterarie e le conserva dentro di sé,
affascinato però e avvolto dalla lingua della gente. Lingua assunta
con orgoglio, scritta con amore, difesa da chi non ne vuol sapere. Lingua che
farà sua, in una poesia affinata sui classici, al posto della lingua letteraria
calata dalla nascita nobile e altolocata.
La proverà,
questa sua lingua, su diverse corde: la poesia amorosa, la poesia d’occasione,
la poesia politica, la poesia come invaso di saggezza per il succo della vita
di fronte alla quale non valgono sussiego e superbia, quanto il sorriso,
l’ironia, quella che fa abbassare creste e incide un cuneo di verità dentro il
petto gonfio di potere e vuoto di sostanza. Così la notazione sulla realtà si
mescola con la tristezza dei conti esistenziali sempre in perdita; l’affetto per
il popolo si lega con la cultura di questo ed i costumi, con la fede cristiana;
l’antipapalismo (dell’autore e di Jesi) fa tutt’uno con la vena libertaria e
repubblicana, con l’amore per Garibaldi.
Giocoso,
Magagnini: nella scrittura dei Cento sonetti; nel “travestire in abiti
jesini”, asciutti e moderni, i canti d’inizio dell’ Iliade; nel prendere
in giro i francesi innalzando gli italiani ne La disfida di Barletta; nel
demistificare, con la voce di chi proprio non condivide la retorica monumentale
degli anniversari, El cinquantenario del 1911. Divertito lui
stesso nel poetare. Volendo divertire i lettori e sapendolo fare in tutta la sua
Musa paesana.
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