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La mosca sul naso

Quaderni, a. XXI,
4, lug-ago 2017

Può esserci in una raccolta di poesia, cioè in un corpo poetico compiuto – tale è una raccolta –, ironia e cadenza sentimentale, distinti per lo più i due elementi, non sempre mescolati nella stessa poesia? Il quesito mi è sorto a chiusura de La mosca sul nasodi Italo Bonassi, del quale avevo letto sui “Quaderni” e in internet poesie sparse.

Già il titolo inclina allo “scherzo”, al fastidio da rimuovere, all’intruso avvertito come turbamento di una pace, pure momentanea, interrotta mentre – che so – si legge, si riflette, si guarda un paesaggio, ci si avvicina a una persona. Più fa pensare ad uno scherzo (di ascendenza a lungo raggio zavattiniana, dello Zavattini de I poveri sono matti) la poesia in exergo: «Ciò che importa, appena scritta una poesia, / è fingere di non esserne l’autore, / raccontare ch’è il frutto di un poeta / a noi ignoto, e rileggerla con cura / a voce alta, quindi con astuzia / metterne in risalto le assonanze, / gli ossimori, gli accenti, le cesure / e chiedere alla gente per la strada / se abbia l’idea di chi ne sia l’autore, / per potergli telefonare e ringraziarlo».

Italo Bonassi gioca con i versi? Italo Bonassi gioca seriamente con i versi e adopera ironia e sentimento: ironia sulle situazioni quotidiane (Il coraggio di gridare, L’acqua del rubinetto, solo qualche esempio), sugli incontri (Gli amici del bar), su qualche gotto de vin in compagnia lui essendo astemio; sentimento di un profondo fine, sentire – diffuso in tutte le poesie – la vita, i morti, la ricerca del luogo della loro eternità.

Eternità: ma dove sta? La si rincorre, la si trova, ci si allontana, la si raggiunge di nuovo tramite la voce di propri cari (madre, padre, fratello) ora non più, degli scomparsi tutti. Impalpabili nella presenza, abbracciati nell’aldilà. In quale luogo e vicino a quale Dio? E come stanno? E che vita fanno, in quali prati? Quale il tempo che Dio ha lasciato e lascia a loro? Li si può vedere, nella loro leggerezza, in un distacco materialmente reale ma immateriale. Vicini allora, teneri, nei loro viaggi senza meta e senza porta.

Anche il poeta, casalingo che sta bene a casa sua...lasciando la valigia a chi la vuole, riaggirando il senso ironico, fa tali viaggi: «Forse io non vivo qui, ma altrove, / in un lontano angolo di sogno / di un Dio che sogna e mi crea in sonno / e mi dà voce e nome mentre dorme / quando vien notte, e, appena che fa giorno, resto un suo frammento – un’ombra, un’orma. – / Questo son io: tutto il resto è sogno».

La mosca al naso è questo sogno o è il frammento di sé?

Italo Bonassi procede per interrogativi che negano le conferme e per conferme che mettono in dubbio le domande. I pensieri si accavallano, quindi si fissano in una evidenza: come accade in un dormiveglia in cui tutto è vero e tutto è peraltro solo immaginato, frutto di rêverie in una giornata di nebbia alla finestra, nella limpidità albale e nella fine del giorno, davanti ad un libro aperto, nella tenerezza di un affetto. Sì che la risposta ai quesiti, alle “semplici” questioni del vivere e del morire, delle perdite, del dopo inconoscibile, non ha luogo: sempre, invece, si ripropone il “ma” di un inizio e del suo contrario, restando il passato (vero? sognato?) a fare da gradino memoriale.

Il sogno ricomincia e di nuovo si perde nei suoi solchi. Il poeta lo segue o lo anticipa, con figure retoriche (di parola e di pensiero) le più diverse entro una ricca e varia lingua tale da liberare ogni volta altro pensiero.

Non gioca no, Italo Bonassi in questa raccolta, a confondere le carte sul tavolo dei giorni dell’esistenza e dell’esistente. Rimanda, invece, l’inquietudine che spazio e tempo sempre hanno in sé. Restituisce, della vita che ci tocca di vivere in sorte o in regalo, l’irrequietezza del non saperne né perché né percome, mentre si è spinti a percorrerla anche nella e per la gioia, benché supposta, del suo essere inspiegabile, arcana.

Recensione
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