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La vita e lo sguardoSuscitano subito il desiderio di essere letti alcuni libri giunti da editori o da autori con il tacito invito ad una possibile recensione. E’ il caso di La vita e lo sguardo di Emerico Giachery. Sarà per il titolo. Forse per il suggestivo olio su tela di Sergio Ceccotti, Guardando l’Adriatico, in copertina. Certo per l’autore, fine critico di letteratura contemporanea versato nelle sinuosità dei testi, poetici, pittorici, musicali, e la relazione che intercorre tra loro e la vita più sottilmente agita. Emerico Giachery: nome e cognome suscitarono anni fa (molti!) la mia curiositas per…interposta persona. Un collega del mio primo anno di insegnamento mi disse della sua tesi su Pirandello a Macerata con il prof. Giachery, appunto. Ho ritrovato, poi, per studio e mio diletto, Giachery conoscitore di poeti contemporanei.
Letto d’un fiato. Non perché sia semplice. (Emerico Giachery, viandante di poiesis e di quanto il “paese dell’anima” dona, ha incontrato e fatti suoi, cogliendone sostanze, verità e pieghe di pensiero, scrittori i più diversi, filosofi, testi religiosi, artisti, musicisti di quella musica che sembra essergli nata dentro ancor prima di essere stata ascoltata e, dunque, seguita.) Ma perché, interprete sensibile, esegeta singolare, fa emergere le profondità nella sua limpida parola di critico: la poesia, i concetti, le riflessioni, i confronti con i maestri, il “viaggio” accennato per essenziali coordinate con la moglie Noemi Paolini, il “bene” dell’amore, la sostanza della bellezza – della natura, degli affetti, della creazione artistica – sono così innervati in Giachery da poter essere restituiti nella loro e sua chiarezza. Per chi legge, da poter essere gustati nella lingua cólta e fluente, narrativa, da scrittore a tutto campo fuor di accademismi e giaculatorie simili. Percorrendo – non riattraversando i tempi per ritrovarli, essendo parte di sé – autori e artisti, vicende e amori (quello per la musica e la montagna ha un sapore-colore particolare) anche nel rimpianto sincero, direi innocentemente sincero, per non avere avvicinato – timidezza giovanile, insicurezza –, più di quanto non abbia fatto, le ragazze e le donne, viaggi (nell’Europa dei grandi autori) ed erranze, inquietudini e punti d’approdo, Giachery trova i fili, da cui non si sfugge, della vita. Di questa cosa bella e complicata, enorme e di grana fine, sfuggente e carica che è la vita fuori di avvenimenti più grandi di noi. La vita da vivere e vissuta. Che viviamo e che, spesso nella quotidianità, ci vive. Non staccata, però, dai nutrimenti. L’infanzia, i genitori. Nel caso di Giachery, il quartiere Fiorelli a Roma. E gli indimenticabili: Luzi e Rilke, Leopardi e Ungaretti, Wagner, Bonnard, Vuillard, Van Gogh, Pierro, Duccio e Melozzo, Simone Martini e Lippo Memmi, Pascoli. Banhoffer, nella sua lotta contro Hiltler. E moltissimi altri, mai solo sfiorati quanto presenti al richiamo associativo. Nominati, anche in “contorni” o “scavati”, con la levità di chi li ha introiettati, ci ha riflettuto su, ha dialogato con loro. Per sentirli, ormai, in sé, nella lealtà della loro scrittura in versi e in prosa, nelle diverse rese pittoriche, nelle differenti note musicali. Per sentirne i fili. E li ringrazia, in silenzio. E ringrazia il Dio di tutti, non connotato in un credo dottrinale, per le splendide cose e nature d’intorno, fibre esistenziali e vitali dei giorni. Un Dio mai trovato. Rincorso nella domanda, si offre all’interrogazione, lontana d’assillo, dentro le manifestazioni di creatività, le serenità naturali, le scoperte, che “lo sguardo” di Emerico Giachery esplora sapiente. |
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